sabato 31 ottobre 2015

MOLDAVIA: IN GALERA IL PRIMO MINISTRO FILO-UE

[ 31 ottobre ]

Vilad Filat, il primo ministro della Repubblica di Moldavia, ardente sostenitore dell'adesione all'Unione europea ed alla NATO è stato arrestato con l'accusa di aver intascato busterelle per 260 milioni di dollari, una cifra enorme date le condizioni economiche del paese.

[Nella foto una manifestazione filo-Ue a Chicsnau]


La prima conseguenza politica è che il governo filo-ue è stato sfiduciato, grazie all'iniziativa delle opposizioni, anzitutto del locale Partito socialista, noto per le sue posizioni nettamente contrarie alla Ue e alla NATO. La mozione di sfiducia è passata grazie al voto favorevole del Partito comunista il quale, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è stata una colonna portante del governo liberista filo-occidentale.
Di quale fosse il quadro sociale e politico moldavo, del fatto che il potere fosse in mano ad una cricca di politicanti corrotti foraggiati dagli eurocrati e dalla NATO, ne parlavamo nel settembre dell'anno passato.

Cosa accadrà adesso in Moldavia?

Difficile pensare che le destre moldave accetteranno la pesantissima sconfitta. Esse tenteranno in ogni maniera di riafferrare il potere, forti del sostegno occidentale. Si apre quindi una fase di acuta instabilità politica, che potrebbe avere serie ripercussioni geopolitiche. E' da escludere che NATO e Ue accetteranno di perdere il protettorato moldavo.

Ricordiamo che ad est della Moldavia esiste la piccola repubblica della Transinistria, notoriamente filo-russa.

[Accanto una mappa interessante in cui i filo-NATo e filo-Ue descrivono quello che sarebbe l'assetto geopolitico immaginato dal Cremlino]

La Transnistria, un'enclave filo-russa tra l'Ucraina e la Romania, non riconosciuta dalle potenze occidentali e che potrebbe costituire in futuro il casus belli per un conflitto armato.

Proprio di questo rischio parlavamo nella primavera scorsa negli incontri con Ernest Vardanean.


venerdì 30 ottobre 2015

PRIMARIE DEMOCRATICHE NEGLI U.S.A.: CHI È DAVVERO BERNIE SANDERS?*

[ 30 ottobre]

Si fa un gran parlare delle primarie del partito democratico americano e del "socialista" Sanders.
Ma chi è veramente? Qual è il suo passato politico? Quale il suo programma?
Qui sotto il punto di vista dell'estrema sinistra nordamericana.

«E’ facile capire perché molti elettori statunitensi, intossicati dalla politica in mano al big-business seguono Bernie Sanders. Descrivendosi come socialista democratico, Sanders si scaglia contro la sconcertante disuguaglianza e denuncia lo stato dei bankster e degli amministratori delegati. Egli sta attirando grandi folle entusiaste ai suoi comizi elettorali fino al suo testa a testa, in alcuni sondaggi, con Hillary Clinton.

Ha l'appoggio di molti elettori onesti, ma è Sanders l'alternativa di cui c’è davvero bisogno? E quale sarà il risultato principale della sua candidatura?

Un passato controverso

Sanders ha una lunga storia politica. Da studente è stato membro della  Young People’s Socialist League, gruppo giovanile del partito socialista, ed ha partecipato al movimento per i diritti civili attraverso il Comitato di coordinamento degli studenti non-violenti (SNCC).

Nel Congresso [parlamento, Ndr], ha preso posizioni di principio su questioni specifiche, spesso come parte di una piccola minoranza dissenziente. Si è opposto all'autorizzazione della forza in Iraq nel 1991 e nel 2002 e all'invasione nel 2003. Ha fatto appello alla sanità gratuita per tutti. Egli sostiene i sindacati, salari più alti, e un programma nazionale di lavori pubblici per ricostruire le infrastrutture.

Ma non è difficile trovare posizioni contrarie.

Sanders ha votato per l'autorizzazione del 2001 con cui George W. Bush ha dato il via libera per l'azione militare dopo l'11 settembre e che ha portato all'invasione imperialista dell'Afghanistan. Ha sostenuto la guerra USA/NATO contro la Jugoslavia nel 1999. Ha sempre sostenuto il finanziamento statunitense di Israele e difese il feroce attacco israeliano a Gaza nel 2014. Egli ha detto in una recente intervista su ABC che vuole che gli Stati Uniti rimangano la più forte potenza militare del mondo.

Su immigrazione e diritto al lavoro, Sanders è fondamentalmente un nazionalista. Egli accetta la premessa che i lavoratori americani devono competere contro i loro lavoratori fratelli nell'economia globale. Ha votato contro la costruzione del muro di confine Usa-Messico nel 2006, ma a favore del disegno di legge di riforma dell'immigrazione profondamente sbagliato del 2013, e da allora in fase di stallo. Ciò avrebbe rafforzato la "sicurezza delle frontiere", con lo spiegamento di più di 40.000 agenti di pattuglia, quindi l’intensificazione delle intercettazioni e delle deportazioni di immigrati disperati. Sanders considera anche l'idea delle frontiere aperte un complotto di destra per abbassare i salari.

E, in contraddizione con la sua mistica come un amico dei lavoratori, Sanders non si è opposto quando un suo alleato, il governatore democratico del Vermont, Peter Shumlin, adottò un bilancio di tagli e austerità vergognoso che significò tagliare centinaia di posti di lavoro di lavoratori sindacalizzati.

Sintomatico della sua debolezza sulla questione razziale, Sanders ha rifiutato di affrontare le questioni sollevate dai manifestanti del movimento Black Lives Matter nelle manifestazioni di Phoenix e Seattle, che riflettevano la frustrazione esplosiva di milioni di persone contro il razzismo e il silenzio dei politici. Per Sanders, il razzismo sembra essere quasi esclusivamente un problema di disparità di reddito. Egli ne ha recentemente scritto sul suo sito web e ha iniziato a discutere dell'epidemia di sparatorie della polizia. Ma soluzioni come telecamere per i poliziotti e polizia di prossimità, che in genere sono una scusa per più poliziotti e più sorveglianza, non sono affatto soluzioni giuste. Manca ogni accento sulla lotta al razzismo come la priorità numero uno per l'intero paese.

Tirando pugni

Il piano economico di riforme di Sanders chiama all’aumento delle tasse sui ricchi, lasciando che le grandi banche insolventi falliscono, e l'utilizzo di imposte sulle transazioni finanziarie a rischio per pagare per l'istruzione. Ma queste riforme difficilmente  potranno spezzare il potere gargantuesco di Wall Street!

Dei veri candidati socialisti avrebbero chiesto la nazionalizzazione e la gestione dei lavoratori di settori chiave come banche e l'energia, e per lo smantellamento della macchina militare, riorientando i fondi pubblici per l'istruzione e i servizi sociali. Avrebbero mostrato che i licenziamenti non sono colpa dei lavoratori stranieri e degli immigrati, ma dell’aumento della produttività, dell’ automazione, e della globale "corsa al ribasso" dei padroni. Avrebbero invitato i lavoratori degli Stati Uniti ad unirsi con i lavoratori di altri paesi per abbattere ovunque la classe capitalista.

Dei veraci socialisti non eviterebbero di parlare della questione fondamentale, del socialismo come sola alternativa al sistema del profitto e, contrariamente a  Sanders, si concentrerebbero sulla formazione politica e farebbero tutto quanto in loro potere per convincere i propri sostenitori ad una posizione anticapitalista.

Il sostegno al gioco delle tre carte bipartitico
10 agosto 2015, Los Angeles: un comizio di Sanders

Il problema principale con la candidatura Sanders è il ruolo che essa svolge in queste elezioni: un ruolo per puntellare e sostenere i democratici e quindi la soffocante morsa del regime bipartitico.

Se solo lo volesse, Sanders ha lo slancio e il numero adeguato di sostenitori per liberarsi dei Democratici e contribuire al lancio di un partito anticapitalista formidabile. Egli ha citato come suo modello rivoluzionario Eugene Victor Debs, che corse per la presidenza cinque volte nei primi anni del 1900 come candidato del Partito Socialista. Ma Debs aveva esplicitamente caratterizzato i partiti democratico e repubblicano ("le ali politiche del sistema capitalista") come una trappola velenosa per i lavoratori. Sanders, d'altra parte, corre come un democratico e ha promesso di sostenere l'eventuale candidato vincente delle primarie del partito.

In realtà, anche se è tecnicamente indipendente al Congresso, egli ha votato con i democratici oltre il 90 per cento delle volte, e sostenuto costantemente i loro candidati presidenziali.

Il percorso che Sanders sta avviando è logoro. Negli ultimi 30 anni, le campagne presidenziali di Jesse Jackson, Al Sharpton, Dennis Kucinich, e ora Bernie Sanders hanno sposato agende percepite come progressiste e hanno cercato di spingere il Pd a sinistra. Questo esperimento è stato quindi tentato molte volte prima.

E che cosa mostrano al popolo degli Stati Uniti questi tentativi? Questi tentativi hanno fatto fiasco poiché entrambi i partiti capitalisti sono costantemente andati verso destra, sul diritto all'istruzione ed i programmi sociali, sul pianeta in pericolo, sulla guerra senza fine, ed altri campi di questo capitalismo che brutalmente sopravvive alla sua fine.


La funzione Sanders è la stessa dei candidati democratici di sinistra che lo hanno preceduto. E’ per prevenire la protesta —per dare un'altra opzione a persone che altrimenti potrebbero essere tentate di ribellarsi in piazza contro il marcio e truccato sistema elettorale degli Stati. La funzione di Sanders è quella di convincere i disincantati ad andare a votare, un’altra volta, contro i propri interessi, per un democratico accettabile alle grandi imprese - come il candidato democratico che alla fine vincerà, sicuramente sarà».

* Fonte: Socialist Freedom
** Traduzione a cura della redazione

È GIUNTO IL MOMENTO DI DARSI DA FARE di Simone Boemio

[ 30 ottobre ]

SENZA EURO(PA) 12/13 dicembre - Roma
Seminario nazionale per un nuovo movimento di unità popolare

E' GIUNTO IL MOMENTO DI DARSI DA FARE, NON E' MAI TROPPO TARDI

appello per chi crede nella capacità dei popoli di autodeterminarsi

Nonostante la forza per ora incontrastata delle oligarchie europee che detengono potere economico, legislativo ed esecutivo, che possono controllare o rendere inefficace quello giudiziario e che detengono quello dell'informazione, 

Nonostante gli egoismi personali di chi "ha ancora (ma non per molto) qualcosa da perdere" e per questo non vuol cambiare nulla ma sa solo protestare

Nonostante l'azione della politica impotente (nei migliori dei casi) o collusa con il sistema liberista che sta demolendo lo Stato italiano e con esso tutti i nostri diritti

Noi andiamo avanti!


Col processo costituente avviato nell'Aprile 2015dopo un'estate di incontri tra persone in grado di capire che la fine di ogni diritto e tutela è vicina in questa gabbia europea e che l'unica soluzione per il popolo italiano è tornare alla nostra Carta Costituzionale nella sua versione originale (va sempre ricordato il fatto inconfutabile che la Nostra Costituzione del '48 ci ha portato dalla drammatica situazione post-bellica fino alle vette dell'economia mondiale), si avvicina finalmente il momento del seminario che darà forma e contenuto al primo movimento per una reale sovranità popolare, per una democrazia compiuta e per l'uguaglianza e la giustizia diffuse.

- Nascerà partendo dal basso, senza guru e senza padri e padroni per iniziativa di chiunque (ANCHE TE) abbia a cuore il benessere delle generazioni attuali e future

- Avrà come faro la modernità dei principi contenuti nella Costituzione Repubblicana del '48 e, in funzione di questi, volgerà lo sguardo al futuro consapevole dei cambiamenti sociali e tecnologici, non ambirà quindi ad un "piccolo mondo antico", ma ad un'Italia moderna efficiente e giusta

- Farà del dialogo interno e verso altre realtà politiche affini uno dei caposaldi principali, mai si chiuderà in se stessa in maniera settaria concentrata solo in una azione di proselitismo come se si trattasse di marketing e mai ammiccherà verso organizzazioni segrete e non democratiche

- Scenderà in piazza tra la gente, smarcandosi dagli algoritmi truffaldini dei social (tuttalpiù sfruttandoli per quanto possibile a proprio vantaggio), per diffondere il messaggio di cui i nostri concittadini ora hanno più bisogno:

Se cercate, o quando cercherete, una casa politica in cui sentirvi a vostro agio, che sentirete vostra, ove vige un solo padrone "la democrazia", noi l'abbiamo edificata

Con questo spirito Vi invito a partecipare al Seminario

SENZA EURO(PA)

Sovranità, Democrazia, Uguaglianza
Seminario nazionale per un nuovo movimento di unità popolare

che si terrà a Roma il 12 e 13 dicembre 2015. Questo Seminario vuole essere un momento di elaborazione collettiva strutturata con tavoli di lavoro dedicati ai seguenti ambiti tematici individuati come fondamentali:

1. Finalità strategiche del movimento: l’Italia che immaginiamo

L’egemonia culturale neoliberista è l’incontrastata e dominante ideologia del nostro tempo. Mai come oggi si sente l’esigenza di elaborare un nuovo paradigma che faccia da faro per la transizione della nostra società dal disastro capitalista ad un modello alternativo. Si porranno le basi per descrivere una visione del mondo e della società a cui tendere nel futuro, indicando dunque quale sia l’alternativa che sola può dare respiro e senso alle battaglie contro le ingiustizie strutturali del mondo contemporaneo.

2. Programma di fase e alleanze possibili

Nel breve periodo sarà necessario stabilire quali priorità programmatiche perseguire per avviare la fuoriuscita dal sistema neoliberista quindi aprire una fase di transizione per attuare le indispensabili grandi trasformazioni di cui c’è bisogno — trasformazioni che implicano vincere la resistenza (che sarà durissima e riguarderà tutti gli ambiti della società) delle classi dominanti interne che godranno dell’apppoggio dell’eurocrazia eurista e delle oligarchie globali. Particolare attenzione sarà rivoltà all’individuazione di quelle forze politiche e sociali che convergendo su punti chiari del programma di fase sono oggettivamente potenziali alleati nella lotta politica che ci aspetta. Gli obiettivi di questo tavolo saranno la produzione di un documento programmatico e l’individuazione di una mappa di alleanze possibili, nonché delle auspicabili forme di questa alleanza.

3. Forma organizzativa

Lo studio della forma organizzativa del nuovo movimento sarà importante per permettere di trovare la modalità per garantire la massima democrazia interna affinché le decisioni siano condivise e partecipate, per assicurare che la convivenza interna di diverse sensibilità che non pregiudichi un’efficace azione esterna, infine per garantire l’autonomia dei livelli territoriali.
Gli obiettivi di questo tavolo di lavoro sarà quello di produrre le linee guida necessarie per poi procedere all’elaborazione di uno statuto.


4. Blocco sociale e comunicazione

Un movimento politico deve riuscire nel tempo a cementare un blocco sociale di riferimento che possa identificarsi col progetto politico e perciò ne condivida la necessità e i fini. I cambiamenti della società avvenuti negli ultimi decenni impongono riflessioni e considerazioni che sono indispensabili per comprendere chi sono i destinatari del nostro messaggio politico e quali potrebbero essere le forze motrici sociali della sollevazione popolare.
Una questione importante e conseguente all’analisi di fase ben fatta riguarda gli strumenti comunicativi da utilizzare oggi per riuscire ad avere la massima diffusione, quindi con quali linguaggi si può essere maggiormente efficaci nel sovrabbondante e saturo mondo della comunicazione dominante. Gli obiettivi di questo tavolo sono quindi la produzione di un’analisi della attuale composizione delle classi e l’individuazione di alcune principali linee guida su cui poi sviluppare una strategia di comunicazione efficace e vincente a partire da logo e nome.


 

Il seminario si concluderà con la pubblicazione dei documenti elaborati dai tavoli di lavoro e con la produzione di un appello all’adesione e alla partecipazione ai prossimi passi del processo costituente del nuovo soggetto politico da lanciare nei giorni seguenti al seminario.

A breve la pubblicazione on line del programma dettagliato del seminario.

Per informazioni e prenotazioni (da comunicare entro il 22.11.2015)

ora@oracostituente.it

N.B.: In fase di adesione, sarà necessario specificare la scelta del tavolo di lavoro desiderato.

giovedì 29 ottobre 2015

"COSA ROSSA"? NO, SALSA ROSA di Leonardo Mazzei

[ 29 ottobre ]

SEL: OVVERO GLI ULTRÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE 


Si è svolta sabato scorso l'assemblea nazionale di Sinistra ecologia libertà (Sel). L'incontro ha partorito un documento utile a chiarire tre cose. 
La prima è che non c'è nessuna "Cosa Rossa" alle porte. 
La seconda è che non c'è una vera rottura strategica con il Pd. 
La terza è che l'adesione totale ai miti ed ai dogmi della globalizzazione ne esce pienamente confermata. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, ma il solito mix di opportunismo e globalismo. Il tutto servito in salsa rosa, non rossa.

Entriamo nel merito, procedendo in ordine inverso d'importanza. In primo luogo, quindi, il non-evento di un aborto sostanzialmente annunciato. In secondo luogo, la conferma della linea delle alleanze con il Pd, in terzo luogo l'atteggiamento da ultras sfegatati del globalismo e dell'eurismo, un'impostazione che neppure le lezioni greche dell'estate scorsa hanno minimamente scalfito.

La "Cosa Rossa" non nascerà. Al più vedrà la luce una cosuccia rosa pallida
Se i documenti hanno un senso, quello uscito dall'assemblea del 24 ottobre ci dice che la cosiddetta "Cosa Rossa" non vedrà proprio la luce. Per "Cosa Rossa" si intendeva l'unificazione in un unico soggetto politico di almeno 4 componenti: Sel, Rifondazione Comunista, Possibile (civatiani) e Futuro a sinistra (fassiniani). Tralascio qui per semplicità altre componenti minori (o comunque sovrapponibili), come pure ritengo francamente trascurabile l'apporto di alcuni transfughi di M5S.

Già il fatto che si parlasse di "Cosa Rossa" senza una base politica minima, e neppure uno straccio di programma, indicava la natura iper-minimalista dell'operazione: mettere in piedi un soggetto purchessia in vista delle prossime elezioni politiche, con l'obiettivo di assicurarsi la presenza parlamentare superando l'asticella del 3%. Nulla di più ambizioso di questo si è visto nei mesi scorsi, e l'esito preannunciato dal documento di Sel ne è la conferma più plateale.

Adesso, dei quattro soggetti sopra indicati, pare proprio che due mancheranno all'appello. Di sicuro non sarà della partita l'associazione di Civati, che al momento sembra piuttosto tentato dall'avventura solitaria. Ma ben difficilmente potrà farne parte lo stesso Prc. Non solo per la posizione di Vendola e compagnia sulle amministrative, ma anche e soprattutto per la richiesta di scioglimento dell'organizzazione, che lo stesso Ferrero avrà grosse difficoltà ad accettare.

Prevedibilmente la "Cosa" nascerà dunque dimezzata, disegnando non una "casa comune della sinistra", come si reclamizzava, quanto piuttosto una sorta di Grande Sel. Quanto grande ce lo diranno i fatti in seguito...

Il problema è Renzi o il Pd?

Veniamo adesso alla seconda questione, quella dei rapporti con il Pd. 
Vendola accusa Renzi di aver distrutto il centrosinistra, ma non rinuncia alle alleanze a livello locale. Il giudizio sul premier e sulle sue controriforme è durissimo —e vorremmo vedere!— ma sembra quasi che il fiorentino provenga da Marte. L'assenza di un'analisi sul lungo percorso (Pci-Pds-Ds-Pd) che ha portato a quel che viene chiamato "Partito della Nazione", ovvero "Partito di Renzi", serve evidentemente a tenersi le mani libere, oltre che ad auto-assolversi dalle responsabilità di una politica di piena subalternità al centrosinistra.

Naturalmente, come in ogni discussione politica che si rispetti, anche in Sel esiste una "destra" (quella che vorrebbe allearsi sempre e comunque con il Pd renziano), un "centro" (in questo caso rappresentato dall'ex governatore pugliese) ed una "sinistra" che inizia timidamente a porsi qualche interrogativo. Ma qui non entreremo nel merito di questa discussione, concentrandoci invece sul contenuto del documento finale, di chiara matrice vendoliana. E' questo il testo che dà la linea sulle questioni di cui ci occupiamo in questo articolo.

Tra queste, quella delle prossime elezioni amministrative. Leggiamo il passaggio decisivo contenuto nel documento approvato sabato:

«Per noi non si tratta di stabilire regole astratte che da Roma calino sui territori in modo automatico e meccanicistico. Consideriamo necessario difendere e lavorare per dare continuità a quelle esperienze che nel governo concreto delle città hanno saputo guadagnare le caratteristiche di laboratori politici e amministrativi. Proprio per questo però è necessario che, ovunque non si verifichino queste condizioni, l’impegno di Sel sia rivolto alla costruzione di percorsi innovativi e autonomi che, a partire da qualificate proposte di governo locale e dalla definizione partecipata di percorsi plurali, mettano in campo un punto di vista alternativo e competitivo».
Traduciamo. A livello nazionale non possiamo che essere contro Renzi, ma per le amministrative la linea rimane quella della ricerca dell'accordo con il Pd. Poi, nelle realtà dove i piddini proprio non ci vogliono, metteremo in piedi liste alternative.

Il fatto è che il voto della prossima primavera non riguarda piccoli e sperduti centri, bensì grandi città come Milano, Napoli, Torino, Bologna e (salvo improbabili sorprese) la stessa Roma. I risultati avranno quindi una evidentissima valenza generale. Sappiamo già che in alcune città (ad esempio Bologna) l'accordo con il Pd sarà impossibile anche per Sel, ma una mappa delle alleanze a macchia di leopardo —esatta fotocopia di quanto Sel ha fatto alle regionali dello scorso maggio— non farebbe che confermare che nella sostanza ben poco è cambiato.

Se davvero uno vuol rompere con Renzi, denunciare la sua pericolosità, non può lanciare segnali così contraddittori. La cosa è evidente, ma confligge sia con la pancia di un partito di assessori come Sel, sia con la visione di fondo di Vendola. Il quale, in una sua recentissima intervista, ha detto che: «Una coalizione progressista la si può costruire con il Pd, senza il Pd, contro il Pd». Una frase da incorniciare, ma anche di facile interpretazione: con il Pd ovunque possibile, senza il Pd dove proprio non ci vogliono, contro il Pd così giusto per dire...
Dietro questa politica che fa del trasformismo l'alfa e l'omega della propria prassi non c'è solo opportunismo, ma anche attendismo in vista delle elezioni politiche. Da un lato si dice che il nemico è Renzi, non il Pd. Sottinteso: a Renzi potrebbe anche capitare qualche incidente, mentre il Pd resterebbe e noi saremmo sempre pronti ad aspettarlo sotto il lampione. Ma c'è un secondo sottinteso: oggi noi non serviamo a Renzi perché c'è l'Italicum, ma se la legge elettorale dovesse cambiare di nuovo (ad esempio come accennato al senato da un Napolitano preoccupato da un possibile successo di M5S) potremmo tornargli nuovamente buoni. Insomma, per i sellini, mai dire mai. E guai a chi vuole spegnere quel lampione...

Gli ultras della globalizzazione

Le due questioni di cui ci siamo occupati finora hanno la loro importanza, ma sono niente rispetto a quanto viene affermato nel documento sull'Europa. Leggiamo:

«E la piega distruttrice che ha preso l’Europa non c’entra con la moneta e la sovranità monetaria, non c’entra con il primato tecnocratico, c’entra con la politica, con scelte esclusivamente politiche. Oligarchiche e politiche. E non c’è salvezza nella inversione ad U che riconsegna l’orizzonte agli Stati nazionali. Meglio, molto meglio continuare a battersi sul terreno europeo, l’unico possibile, l’unico che può determinare una qualche inversione di tendenza di lunga durata. Magari prendendo sul serio l’elaborazione che ha portato i curdi, a cavallo del limes, ad abbandonare l’idea del potere connessa allo stato nazionale, avviando invece una rielaborazione straordinaria che pone l’accento sulla dimensione territoriale, la democrazia integrale e la cooperazione tra comunità, generi, vivente umano e non umano. Non comunità di destino né piccole patrie ma l’esercizio quotidiano dell’autogoverno e dell’autoeducazione al cambiamento, alla democrazia paritaria. Praticare l’orizzonte europeo significa partecipare a questa impresa rafforzando i presidi territoriali presenti in ogni singolo Paese».
Avete capito? L'attuale Europa non c'entra nulla con l'euro. Meno che mai —ci mancherebbe!— con la sovranità monetaria. Roba da mettersi le mani nei capelli! D'accordo, ci sarà un fisiologico rincoglionimento istituzionale, ma come si può scrivere una simile scemenza? Di questo, esattamente di questo, scrivono e discutono —magari con pareri diversissimi— i più importanti economisti e commentatori del continente, ma niente può turbare le granitiche certezze euriste del "poeta" pugliese.

Ma non basta. Non c'è salvezza nell'orizzonte degli stati nazionali. E —Monti non saprebbe far di meglio— l'unico terreno possibile è quello europeo. Per rafforzare una simile tesi si tirano in ballo perfino i curdi —peraltro schiacciati proprio dall'azione di potenti stati-nazione regionali e non—, che nella testa dell'esperto di Terlizzi avrebbero abbandonato l'idea della sovranità nazionale per fare un piacere a lui e a tutti i sapientoni venduti al globalismo. Che è poi la forma concreta del capitalismo della nostra epoca. Quella attraverso la quale ogni diritto sociale, conquistato nella fase precedente, viene progressivamente demolito, in nome della globalizzazione e di verità e poteri costituitisi a livello sovra-nazionale in modo da impedire ogni esercizio della sovranità democratica e popolare.

E' la nostra una critica "ideologica"? 
Chiedere a greci e portoghesi per avere la risposta del caso. Il terreno europeo, ben lungi dall'essere «l’unico che può determinare una qualche inversione di tendenza di lunga durata» è piuttosto il luogo della dittatura dispiegata. Ai greci sono state imposte misure di progressivo affamamento di ampie fette della società, applicando infine lo strangolamento finanziario pilotato dal "progressista" Draghi. Ai portoghesi (tramite il fido presidente Cavaco Silva) è stato addirittura imposto un governo di minoranza, che ha rovesciato l'esito delle elezioni di tre settimane fa pur di non "spaventare i mercati".

Ma quello compiuto a Lisbona non è certo l'unico golpe messo a segno dall'oligarchia eurista. Vogliamo ricordare i cambi di governo imposti a Roma ed Atene nell'autunno 2011? Oppure l'annullamento de facto dei referendum in Francia ed Olanda (2005), come pure quello successivo tenutosi in Irlanda? Vogliamo ricordare i vincoli di bilancio, le leggi finanziarie dettate a volte anche nei dettagli? Fate voi, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

E questi ancora lì a dire che l'Europa è l'unico terreno praticabile, mentre il resto è semplicemente indicibile ed impensabile, puro peccato nella visione della teologia eurista che ispira i loro pensierini.

Per loro l'Europa, intesa come aggregazione sovra-nazionale, in grado comunque di prevalere sugli stati, è il bene assoluto. Un bene che prescinde dagli stessi contenuti sociali e democratici.

Beninteso, non è che i sellini siano gli unici ultrà di simili concezioni. Ma, a parte il fatto che le granitiche certezze dei globalisti sono in crisi ormai in ogni angolo del continente, è davvero raro leggere di questi tempi una simile visione integralista di quella che di fatto è l'ideologia della fine della storia. Una teoria che un quarto di secolo fa piacque molto ai dominanti, proprio perché lasciava immaginare la parallela fine degli stati e della lotta di classe. Naturalmente, la storia "finiva" perché tra gli stati era rimasto un unico dominus, mentre il potere anonimo dei "mercati" garantiva il controllo sociale e la fine di ogni possibile alternativa.

Ora, venticinque anni dopo, sappiamo come sono andate le cose. Il progetto dei dominanti ha portato alla distruzione dei diritti e della democrazia, mentre ogni tentativo di riforma dall'interno (vedi in ultimo Tsipras) è sempre miseramente fallito. Vogliamo continuare ancora a farci male?

Che Vendola e soci vogliano farlo, ci è in fondo assai indifferente. 
Si tratta infatti di un ceto politico dedito professionalmente al piccolo cabotaggio e nulla più. Ma cosa ci fa con una simile congrega Stefano Fassina, che su euro, Unione Europea e sovranità nazionale ha da tempo posizioni opposte a quelle dei sellini? Ecco, questo proprio non riusciamo a capirlo. 
Ma a volte il tempo è galantuomo...

IL PROSSIMO TRATTO DI STRADA: VERSO IL NUOVO MOVIMENTO POLITICO di Segreteria nazionale di Mpl

[ 29 ottobre ]

SENZA EURO(PA)
Sovranità, democrazia, uguaglianza
Seminario nazionale per un nuovo movimento di unità popolare 

Il 12 e 13 dicembre 2015 si svolgerà a Roma un seminario programmatico finalizzato alla fondazione del nuovo movimento politico.  Più sotto la lettera di invito del Consiglio nazionale di Ora-Costituente che descrive finalità e modalità del Seminario.
Sarà un Seminario di intenso lavoro, dedicato a licenziare il documento per tesi del nuovo movimento. Un Seminario aperto a coloro, e solo a coloro che, d'accordo con le nostre finalità, siano disposti a rompere gli indugi e a rimboccarsi davvero le maniche.
Dopo si andrà dritti verso il congresso fondativo, che verrà celebrato nella primavera del 2016.
Vale la pena ricapitolare le tappe che ci hanno condotto sin qui.

Prima tappa. Marzo 2014, nasce il Coordinamento nazionale della sinistra contro l'euro, il cui documento fondativo resta una pietra miliare per chiarezza di contenuti.
Seconda tappa. Il Coordinamento sforna il VADEMECUM, in cui venne spiegato, per filo e per segno, perché e come il nostro Paese può e deve uscire dall'Unione e dall'euro, e dove si descrivono i primi passi dell'Italia nuovamente sovrana.
Terza tappa. Si svolge nell'agosto 2014, ad Assisi, il Forum internazionale in cui nasce il primo Coordinamento europeo delle sinistre no-euro.
Quarta tappa. In seno al Coordinamento si apre una discussione sulla necessità di dare vita ad un nuovo movimento politico. Dopo mesi di serrato confronto, si svolge l'11 e 12 aprile 2015 a Chianciano Terme l'assemblea che decide di avviare il processo costituente del nuovo movimento. [foto sopra] Viene approvato un ordine del giorno, e si adotta il nome provvisorio Ora-Costituente e aperto il sito web.
Quinta tappa. Si celebra ad Atene, a fine giugno 2015, il secondo Forum internazionale che registra il rafforzamento del Coordinamento europeo. 

Ora eccoci qui, ad imboccare l'ultimo pezzo di strada che ci separa dal congresso fondativo.
Se, come ci auguriamo, l'impresa andrà in porto, il Movimento Popolare di Liberazione, avrà svolto la funzione che si era proposto e confluirà nel nuovo movimento politico

la Segreteria nazionale di Mpl
28 ottobre 2015

* * *
SENZA EURO(PA)
Sovranità, democrazia, uguaglianza
Seminario nazionale per un nuovo movimento di unità popolare 

Cari amici e compagni,

grazie alla breccia aperta dal Coordinamento della sinistra contro l’euro, il percorso di ORA Costituente si è articolato fino ad oggi nel tessere rapporti tra le molte forze politiche, nazionali ed internazionali, che incominciano a convergere sulle posizioni contrarie al sistema euroliberista.
I fatti greci, che tutti abbiamo seguito con molta attenzione, hanno confermato come sia più che mai necessaria la nascita di un movimento politico che raccolga la spinta a scardinare l’impianto liberista, antidemocratico ed irriformabile dell’UE.
Dopo i forum internazionali di Assisi e di Atene che ci hanno visto tra i promotori del Coordinamento Europeo Contro l’Unione europea e l’Euro, dopo aver seguito da vicino la formazione di Unità Popolare in Grecia, rimane forte l’esigenza di costruire anche in Italia una casa per i cittadini i quali, siano essi spinti da ragioni ideali o materiali, desiderano iniziare a combattere senza ambiguità il nemico ormai dichiarato della nostra democrazia, della nostra Costituzione e del nostro popolo e che vedono ormai inadeguati la gran parte dei soggetti politici esistenti.
Dopo anni di confronti ed analisi economiche e politiche è giunto il momento di affrontare il nodo centrale della nascita di un nuovo movimento politico, sviluppando in modo approfondito tutti i fattori teorici e pratici indispensabili alla creazione di una nuova ed efficace forma di organizzazione politica.
Con questo spirito Vi invitiamo a partecipare al Seminario «SENZA EURO(PA) – Sovranità, democrazia, uguaglianza», che si terrà a Roma il 12 e 13 dicembre 2015. Questo Seminario vuole essere un momento di elaborazione collettiva strutturata con tavoli di lavoro dedicati ai seguenti ambiti tematici individuati come fondamentali:

1. Finalità strategiche del movimento: l’Italia che immaginiamo

L’egemonia culturale neoliberista è l’incontrastata e dominante ideologia del nostro tempo. Mai come oggi si sente l’esigenza di elaborare un nuovo paradigma che faccia da faro per la transizione della nostra società dal disastro capitalista ad un modello alternativo. Si porranno le basi per descrivere una visione del mondo e della società a cui tendere nel futuro, indicando dunque quale sia l’alternativa che sola può dare respiro e senso alle battaglie contro le ingiustizie strutturali del mondo contemporaneo.

2. Programma di fase e alleanze possibili

Nel breve periodo sarà necessario stabilire quali priorità programmatiche perseguire per avviare la fuoriuscita dal sistema neoliberista quindi aprire una fase di transizione per attuare le indispensabili grandi trasformazioni di cui c’è bisogno — trasformazioni che implicano vincere la resistenza (che sarà durissima e riguarderà tutti gli ambiti della società) delle classi dominanti interne che godranno dell’apppoggio dell’eurocrazia eurista e delle oligarchie globali. Particolare attenzione sarà rivoltà all’individuazione di quelle forze politiche e sociali che convergendo su punti chiari del programma di fase sono oggettivamente potenziali alleati nella lotta politica che ci aspetta. Gli obiettivi di questo tavolo saranno la produzione di undocumento programmatico e l’individuazione di una mappa di alleanze possibili, nonché delle auspicabili forme di questa alleanza.

3. Forma organizzativa

Lo studio della forma organizzativa del nuovo movimento sarà importante per permettere di trovare la modalità per garantire la massima democrazia interna affinché le decisioni siano condivise e partecipate, per assicurare che la convivenza interna di diverse sensibilità che non pregiudichi un’efficace azione esterna, infine per garantire l’autonomia dei livelli territoriali.
Gli obiettivi di questo tavolo di lavoro sarà quello di produrre le linee guida necessarie per poi procedere all’elaborazione di uno statuto.

4. Blocco sociale e comunicazione

Un movimento politico deve riuscire nel tempo a cementare un blocco sociale di riferimento che possa identificarsi col progetto politico e perciò ne condivida la necessità e i fini. I cambiamenti della società avvenuti negli ultimi decenni impongono riflessioni e considerazioni che sono indispensabili per comprendere chi sono i destinatari del nostro messaggio politico e quali potrebbero essere le forze motrici sociali della sollevazione popolare.
Una questione importante e conseguente all’analisi di fase ben fatta riguarda gli strumenti comunicativi da utilizzare oggi per riuscire ad avere la massima diffusione, quindi con quali linguaggi si può essere maggiormente efficaci nel sovrabbondante e saturo mondo della comunicazione dominante. Gli obiettivi di questo tavolo sono quindi la produzione di un’analisi della attuale composizione delle classi e l’individuazione di alcune principali linee guida su cui poi sviluppare una strategia di comunicazione efficace e vincente a partire da logo e nome.
Il seminario si concluderà con la pubblicazione dei documenti elaborati dai tavoli di lavoro e con la produzione di un appello all’adesione e alla partecipazione ai prossimi passi del processo costituente del nuovo soggetto politico da lanciare nei giorni seguenti al seminario.
A breve la pubblicazione on line del programma dettagliato del seminario.
Per informazioni e prenotazioni (da comunicare entro il 22.11.2015ora@oracostituente.it
In fase di adesione, sarà necessario specificare la scelta del tavolo di lavoro desiderato.

mercoledì 28 ottobre 2015

JOBS ACT(ING) IN ROME

[ 28 ottobre ]

Ai nostri lettori presentiamo in anteprima il trailer del lungometraggio JOBS ACT(ING) IN ROME.
Scritto e diretto da Roberto Palmerini, protagonista Fabio M. Frati nel ruolo di "street zombie". 







CON IL POPOLO BASCO PER UNA SPAGNA FEDERALE E SOVRANA di Manolo Monereo

[ 28 ottobre]

Nella foto accanto la manifestazione per la libertà di Arnaldo Otegi e Usabiaga svoltasi a San Sebastian il 17 ottobre scorso.








In memoria di Txomin Ziluaga
Difenderò la casa di mio padre ... io morirò,
si perderà la mia anima,
si perderà la mia progenie,
ma la casa di mio padre resterà in piedi.
Gabriel Aresti (1933-1975).

Comincio, come comincerebbe Txomin, con l’autocritica e chiedendo perdono. Persi il coraggio di scrivere un articolo come questo un anno fa. Ci pensai e non osai. Perché? Per non ferire il mio movimento politico, Izquierda Unida in un momento di grande difficoltà e, debbo dirlo, per non creare ulteriori problemi al mio amico di sempre, Pablo Iglesias. Oggi so che ho sbagliato e non ho scusanti.

La mia ammirazione per Arnaldo Otegi viene da lontano. Stile diretto, modestia e chiarezza di idee. Soprattutto, il coraggio, il coraggio civile di porre fine ad una tappa della storia, dura e  terribile, del movimento nazionalista. Non potremmo essergli più grati: porre fine alla violenza armata, considerare seriamente la lotta per la liberazione sociale e nazionale di Euskadi nella prospettiva di una  democrazia da ricostruire, non è stato e non sarà mai facile, inoltre, deve essere sottolineato, essendo lui in carcere.

Dovete capire. Un movimento armato, centinaia di prigionieri nelle carceri, continui arresti di leader dell'ETA e avviare il dibattito. Sì, il dibattito è stato avviato, lo abbiamo condotto tutti con Arnaldo Otegi, per mettere la politica al centro, discutere le possibili soluzioni democratiche e scommettere per un nuovo Euskadi riconciliato, libero e socialista.

L'incarcerazione di Otegi è ingiusta e politicamente voluta. Lo sappiamo tutti. Tenere un uomo di pace, il suo più grande promotore, in prigione, significa puntare sul conflitto e sullo scontro. Arantza Quiroga, segretario del Partito Popolare nei Paesi Baschi, lo ha confermato in prima persona: attizzare, aggravare il conflitto basco, rimane un elemento centrale della politica della destra. Le "ragioni" le conosciamo tutti: giustificare la restrizione delle libertà, criminalizzare qualsiasi rapporto, accordo, alleanza tra la sinistra abertzale e la sinistra federalista spagnola, rafforzando un discorso "nazionale" in tempi in cui la corruzione e le politiche austeritarie provocano un drastico calo del voto dei cittadini.

La crisi dell'Unione europea, la dittatura dei creditori guidata dal potente Stato tedesco e il peggioramento della situazione economica, sociale e politica nel Sud, obbligano, io penso, ad un cambiamento di prospettiva storica. Con una certa sorpresa vediamo come le borghesie basca e catalana, nelle sue varie articolazioni politiche, approvano, insieme al governo "nemico" di Rajoy, i memoranda austeritari che sopprimono i diritti sociali, restringono i diritti sindacali, precarizzano i rapporti di lavoro e, soprattutto degradano la democrazia in tutte le sue accezioni. Lo Stato spagnolo, più precisamente il Regno di Spagna, non è uno Stato sovrano e sta diventando a poco a poco un "protettorato" economicamente dipendente e politicamente sempre più subordinato.

Questo non è un problema minore. Considerare le varie "questioni nazionali" dello Stato spagnolo come se la globalizzazione capitalista non esistesse, come se l'Unione europea non determini il contesto reale della nostra vita pubblica, è, a mio avviso, un errore enorme. Quelli che soffrono di questo stato di cose sono la nostra classe operaia, la nostra gente, i cittadini in generale. Abbiamo urgente bisogno di un mutamento politico; è molto difficile che questo cambiamento possa essere compiuto nel contesto di un'Unione europea che è organizzata come un potente sistema di dominio al servizio dei poteri economici, insisto, una Unione egemonizzata da uno Stato nazionale: la Germania.

Lo Stato spagnolo, la Costituzione venuta fuori dalla Transizione, è in crisi. La fase è caratterizzata da uno scontro radicale tra l’ennesima restaurazione borbonica e la rottura. Al centro, in basso e a sinistra, la necessità di un processo costituente per rendere effettuale ciò che dicono i testi costituzionali, vale a dire che sovrano è il popolo, il nostro popolo, le cittadine ed i cittadini; che il nostro dovere primario è quello dell’autogoverno, quello di amministrarci collettivamente e prendere nelle nostre mani il nostro proprio destino. Si tratta di costruire un nuovo Stato, un nuovo modello di produzione e di un nuovo modello sociale, a partire dal riconoscimento del diritto all'autodeterminazione.

C'è una possibilità reale di unità delle sinistre dello Stato, di una convergenza reale tra forze nazionaliste e forze di sinistra per cambiare questa realtà plurale chiamata Spagna. Per molti versi la cessazione della violenza nei Paesi Baschi, il processo di pace avviato, fa sì che la Politica con la P maiuscola si affacci di nuovo alla ribalta nelle nostre società e che il cambiamento diventi possibile. Non è poca cosa.

Arnaldo Otegi resta ingiustamente incarcerato. La sua libertà aiuterà la pace e la riconciliazione; sarà un interlocutore fondamentale per garantire che la crisi del regime monarchico abbia uno sbocco democratico e progressista. La sua libertà sarà nostra.

* Fonte: Cuarto Poder del 27 ottobre
** Traduzione a cura della redazione

MARX E LA CRITICA DEL LIBERALISMO di Stefano Petrucciani*

[ 28 ottobre ]
Nell’epoca caratterizzata dall’egemonia ideologica del neoliberismo e dalla crisi delle teorie politiche ad esso alternative, di ispirazione socialista o radicale, può essere utile rileggere alcuni aspetti della critica marxiana del liberalismo, per capire se essa può avere ancora oggi una sua validità e, soprattutto, per comprendere quali sono i suoi punti di forza e quali quelli di debolezza.
1. C’è un Marx liberale
Ma prima di affrontare questo aspetto del discorso, è necessaria innanzitutto una precisazione: sarebbe del tutto errato considerare Marx semplicemente come un nemico del liberalismo; anzi, bisogna ricordare che la presenza di temi schiettamente liberali è una costante che attraversa tutto il suo pensiero, anche se nelle diverse fasi assume modalità estremamente differenti. L’esperienza politica di Marx, com’è noto, comincia proprio nel segno del liberalismo: negli articoli che pubblica sulla Gazzetta renana, tra il maggio del 1842 e il marzo del 1843, il giovane filosofo è impegnato in battaglie tipicamente liberali come quelle in difesa della libertà di stampa, contro la censura, per l’autonomia dello Stato e la laicità rispetto alle confessioni religiose. La libertà, scrive Marx intervenendo nel dibattito sulla censura, si identifica completamente con l’essenza dell’uomo. [1] 
Non solo, difendendo la libertà di stampa, Marx sottolinea (dimostrandosi così, nonostante la sua giovane età, un ottimo maestro di liberalismo) che “ogni forma di libertà presuppone le altre, come ogni membro del corpo presuppone gli altri. Ogniqualvolta vien posta in discussione una determinata libertà, è la libertà stessa che viene posta in discussione”. [2] 
Anche quando Marx avrà abbandonato il suo giovanile liberalismo, una vena liberale continuerà a innervare alcuni aspetti il suo pensiero: si pensi per esempio alla critica dello Stato “pesante”, ipertrofico e burocratico che Marx sviluppa nella Guerra civile in Francia, oppure ad un altro tema che viene talvolta trascurato: Marx non disprezza affatto le “libertà negative” del liberalismo, tanto è vero che, nella Critica del programma di Gotha, ribadisce, criticando lo “Stato educatore” sostenuto dai lassalliani, che “ognuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi quanto i suoi bisogni corporei senza che la polizia vi ficchi il naso”. [3] Come appare evidente anche dal tono di queste righe, Marx considera le libertà negative liberali come qualcosa che dovrebbe essere (anche se spesso non è) un dato ovvio e scontato; ma anche come una dimensione che rimane del tutto limitata e insufficiente se quello che ci interessa è conseguire una effettiva liberazione da tutte le forme di asservimento. [4]
2. Cosa c’è di sbagliato nel liberalismo
A distanza di pochi mesi dalle battaglie liberali condotte con la Gazzetta renana, Marx conferisce una decisa svolta al suo pensiero, che lo porta alla critica radicale dei diritti liberali sviluppata nella Questione ebraica. Il punto fondamentale, nel testo del 1843, sembra essere quello che riguarda la concezione dell’uomo che sta alla base della teorizzazione liberale che, come appare nelle Dichiarazioni dei diritti della Rivoluzione francese e come già accadeva nel liberalismo lockiano, individua come diritti fondamentali dell’uomo essenzialmente la libertà, la sicurezza e la proprietà.
Il limite fondamentale del liberalismo consiste in sostanza, secondo questo Marx, nel fatto di fare propria una visione isolante e atomizzante dell’individuo, considerato come una “monade che riposa su stessa”. [5] E proprio partendo da questo rilievo critico  Marx può scrivere che “nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo oltrepassa dunque l’uomo egoista, l’uomo in quanto è membro della società civile, cioè individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità”. [6] Insomma, secondo questa prospettiva, “l’intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà”. [7]
A me sembra che questa riflessione marxiana si esponga fondamentalmente a due tipi di critica, peraltro largamente convergenti: per un verso essa pare sottovalutare radicalmente il tema della necessaria separatezza degli individui, del loro essere anche e sempre portatori di interessi in conflitto, conflitto dal quale nasce appunto l’esigenza di diritti che tutelino le legittime sfere di autonomia individuale. Qui Marx si contrappone a tutta la tradizione della filosofia politica moderna, dallo Hobbes teorico del conflitto fino al Kant della “insocievole socievolezza”. Per altro verso essa sembra presupporre un concetto olistico o addirittura comunitario della socialità, dove gli individui trovano nella libertà dell’altro non più un limite, ma addirittura la realizzazione della loro propria libertà. [8]
Critiche di questo tipo all’antiliberalismo marxiano hanno sicuramente le loro buone ragioni. Ma forse esse non colgono quello che invece, pur restando un po’ implicito, è a mio avviso il suo vero e proprio nocciolo razionale. Provo a esporlo sinteticamente. Il vero punto cieco del liberalismo, il suo presupposto apparentemente ovvio ma in realtà questionabile, è l’idea che le regole sociali, i principi regolativi di base della convivenza civile, debbano avere come loro obiettivo primario se non unico quello di assicurare interazioni ordinate tra estranei potenzialmente nocivi l’uno all’altro. E che invece non debbano avere come loro scopo primario quello di garantire nel modo migliore la soddisfazione dei bisogni vitali e l’acquisizione del maggior benessere possibile per tutti. Il vero punto di fondo, che Marx non riesce a cogliere in modo esplicito, ma che la sua critica in qualche modo illumina, è che il pensiero liberale occulta quello che, anche per la filosofia politica antica, è sempre stato l’aspetto fondamentale della relazione sociale, e cioè che gli uomini stanno insieme per godere di una vita migliore e più agiata.
Il punto fondamentale,  a mio avviso, sta esattamente qui: il liberalismo politico borghese-moderno, rompendo con una tradizione bimillenaria, non pensa più la società come una cooperazione lavorativa per la migliore soddisfazione di ciascuno, ma, al contrario, la tematizza come una relazione tra estranei potenzialmente nocivi, che non nasce dal problema di soddisfare le necessità vitali di ciascuno, ma da quello di garantirgli l’ordinato godimento dei suoi beni dopo che egli ha provveduto da solo a procurarseli.
Per questo aspetto, il nocciolo razionale non immediatamente visibile della critica marxiana può essere così riassunto: il pensiero liberale e neoliberale non è in grado di esibire nessuna buona ragione a sostegno del suo assunto fondamentale, e cioè che lo Stato e la politica abbiano come primo compito quello di garantire la sicurezza, la proprietà e le transazioni di mercato, e non invece quello di operare per assicurare a ciascun individuo condizioni di benessere e di sviluppo umano.
3. Il liberalismo e la società di mercato
L’altro aspetto della riflessione marxiana sul quale bisogna a questo punto soffermarsi è che vi è, secondo l’autore del Manifesto, una sorta di precisa corrispondenza tra la teoria politica del liberalismo e l’ordine delle relazioni economiche vigente nella società di mercato. Ma per comprendere meglio questo punto conviene lasciarsi alle spalle gli scritti giovanili e passare al Marx del Capitale, e più precisamente alle pagine dove Marx riflette sulle modalità della cooperazione sociale e, a partire da lì, sulla questione del feticismo delle merci. Nella società mercantile la dipendenza di  ciascuno dalla cooperazione lavorativa con tutti gli altri viene occultata dal fatto che gli attori economici agiscono ognuno per conto proprio e senza un piano. La dipendenza reciproca si occulta dietro l’indipendenza apparente, che in realtà non è indipendenza ma dipendenza in una forma non consapevole, non programmata e mediata dal denaro. Ma questa è esattamente la prospettiva nella quale si colloca  il liberalismo, quando considera l’associazione politica come un rapporto che nasce da individui originariamente indipendenti, e il cui bisogno di legarsi reciprocamente sotto norme comuni è motivato solo dalla necessità di conseguire la sicurezza fisica (Hobbes) o la tutela della propria persona e dei propri averi (Locke).
Ma il problema più interessante che si cela dietro questo primo livello di riflessione è a mio avviso quello che è stato messo in risalto nel pluriennale lavoro analitico che all’opera marxiana ha dedicato Jacques Bidet: il punto in sostanza è che la stessa idea della società di mercato, che Marx sembra prendere per buona, almeno come tipo ideale, nelle pagine sul feticismo, [9] è una rappresentazione immaginaria. Lo è in primo luogo nel senso che Marx stesso mette in luce, perché chi ragiona in termini di società mercantile vede solo ciò che accade nella sfera della circolazione (dove regnano “Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham[10] e non vede ciò che accade nel regno della produzione, dove vige invece il dominio del capitale sul lavoro. Ma lo è anche in un altro senso che Marx non tematizza, e che invece è al centro del lavoro di Bidet. L’idea della società di mercato, che caratterizza la tradizione liberale e che rappresenta oggi il sogno o l’utopia del neoliberismo, è una rappresentazione immaginaria (e naturalmente anche apologetica) perché le relazioni di mercato non sono autosussistenti, non bastano a se stesse, ma possono sussistere solo in quanto si inscrivono e sono supportate a monte e a valle da forme di coordinazione sociale non mercantile, come ad esempio la fornitura di beni pubblici (quali ad esempio strade, infrastrutture, mantenimento di un ambiente salubre) da parte dello Stato o lo scambio di “servizi” alle persone nell’ambito delle relazioni familiari, amicali e affettive.
Ciò significa che la società di mercato che il (neo)liberalismo vagheggia è, oltre che indesiderabile, illusoria, perché – e questo è un punto che neppure Marx vede adeguatamente –  la soddisfazione dei bisogni sociali, anche e soprattutto nella tarda modernità, passa in larghissima parte per ciò che mercato non è, ovvero da un lato per lo Stato e dall’altro per i legami familiari o di solidarietà. Perciò la pretesa della mercatizzazione integrale distrugge (paradossalmente) le basi sociali che rendono possibile il mercato stesso. Esso infatti dipende manifestamente per la sua sopravvivenza e per la sua sostenibilità sociale dal fatto che è integrato da altre modalità di produzione dei beni e di soddisfazione dei bisogni. E quanto più queste modalità si restringono, come vorrebbe il credo neoliberista che conosce solo individui atomizzati e che proclama che “la società non esiste”, tanto più entra in crisi, come la storia recente ha dimostrato abbondantemente, la stessa economia capitalistica. Perciò si può dire che il neoliberismo lavora a tagliare proprio il ramo sul quale è seduto.
* Stefano Petrucciani è Professore di Filosofia politica presso il Dipartimento di Filosofia della Sapienza – Università di Roma

NOTE
[1] Cfr. Marx-Engels, Opere, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 154.
[2] Ivi, pp. 181-182.
[3] Marx, Critica al programma di Gotha (1875), in Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1966, pp. 953-975: 972-973.
[4] Cfr. a questo proposito R. G. Peffer, Marxism, Morality and Social Justice, Princeton University Press 1990, p. 127, dove l’autore giustamente sottolinea che il bersaglio della critica di Marx è la tesi che la libertà negativa esaurisca il concetto di libertà, mentre invece per Marx ne è solo un aspetto limitato.
[5] Marx-Engels, Opere, vol. I, cit., p. 177.
[6] Ivi, p. 178.
[7] Ivi, pp. 177-78.
[8] Ivi, p. 177. Un’aspra critica del concetto giovane-marxiano della società si trova negli importanti lavori di Roberto Finelli, di cui si veda da ultimo Un parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel, Jaca Book, Milano 2014.
[9] Come osserva criticamente Jacques Bidet, “contrapponendosi al liberalismo, Marx si è situato in un certo qual modo sul terreno di esso, nella prospettiva storica che definisce la modernità capitalistica attraverso il mercato” (J. Bidet, Il capitale. Spiegazione e ricostruzione, ed. it. a cura di Eleonora Piromalli, manifestolibri, Roma 2010, p. 150).
[10] K. Marx, Il capitale. Libro primo, ed. it. a cura di A. Macchioro e B. Maffi, Utet, Torino 2009,  p. 271, corsivo di Marx.

* Fonte: Micromega

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