domenica 8 novembre 2015

VAROUFAKIS O DEL PENSIERO FLUTTUANTE...

[ 8 novembre ]

Il tipetto è sportivo, e si sapeva. Che oscillava si sapeva anche. Oggi conferma che è zoppo. Afferma in questa recente intervista: «Ho cambiato idea sull’uscita dall’euro. L’unica soluzione è democratizzare l’Europa dall’interno». Dall'altreuropiesmo, al no-euro, all'altreuropeismo (in pochi mesi).


Sono molto interessato a questo movimento transnazionale, paneuropeo che ti stai preparando a lanciare, sui cui dettagli ci hai ingolosito…
Non vi sto ingolosendo. È solo che vuole tempo per crearlo.
Quali forze speri di unire in questo movimento pan-europeo?
È cominciato con un’idea dopo la repressione di quella che chiamo “la primavera di Atene”, avvenuta quest’estate. È  divenuto abbondantemente chiaro che al livello di Stato-nazione non si possono neppure mettere sul tavolo proposte che riguardano il proprio paese, per non parlare di proposte per l’eurozona nel suo complesso. Ho fatto esperienza dell’eurozona molto da vicino ed è stato evidente che non si trattava di una sede in cui discutere come stabilizzare l’economia sociale europea, o come democratizzarla. Questo è semplicemente impossibile; non si può fare. Così, sai, quando il nostro governo di fatto si è auto-rovesciato, poiché è questo che abbiamo fatto, ci siamo auto-rovesciati…
Un auto-colpo di Stato?
Sì, ma naturalmente quella era precisamente l’intenzione della troika. È questo che amano davvero fare. Non solo farci rinnegare tutto quello che avevamo detto, ma anche costringerci a mettere in atto esattamente il programma contro cui ci battevamo e che eravamo stati eletti che contrastare. A quel punto mi sono chiesto: valeva la pena avviare un nuovo processo politico in Grecia? Tentare una seconda opportunità? E la mia conclusione è stata che no, non ne valeva la pena. Che senso avrebbe avuto avviare una nuova campagna per due anni – è il tempo che ci sarebbe voluto – solo per tornare al punto da cui ero partito, uno contro diciotto?
Se la mia diagnosi è corretta, ciò che sta succedendo in Grecia è semplicemente un riflesso, un’eco, di una crisi molto più profonda in tutta l’eurozona, che non può essere risolta a livello nazionale o di singolo Stato membro. L’ovvia conclusione che si deve ricavare da questo è che o si sostiene lo scioglimento dell’unione monetaria, e poi si può tornare a parlare di politica nazionale, o si deve puntare ad un movimento paneuropeo per il cambiamento dell’eurozona nel suo complesso. O una cosa o l’altra.
Oggi la prima soluzione affascina molti. E questo è un dibattito in corso anche in Gran Bretagna, fuori dall’unione monetaria, ma all’interno dell’Unione europea. A me non piace. Non perché io coltivi una qualche illusione riguardo a Bruxelles, a Francoforte e all’Unione europea. Le mie in merito sono note. Tuttavia una cosa è criticare un insieme di istituzioni come l’Unione europea, criticare il modo in cui è stata costruita e il modo in cui funziona. Tutt’altra cosa è sostenere che andrebbe smantellata. È ciò che in matematica chiamiamo isteresi. Il percorso che si è scelto per arrivare da qualche parte, una volta arrivati, non esiste più. Non possiamo semplicemente ripercorrere il percorso all’indietro e ritrovarci al punto di partenza. Dunque dobbiamo percorrere la via dell’unione, per quanto tossica possa essere; se cerchiamo di fare marcia indietro, finiremo giù in un burrone.
Questa è la mia idea. È esattamente ciò che accadde negli anni Venti. C’era un’unione all’epoca. Non era formalizzata ma era molto forte: il gold standard. La sua frammentazione portò a perdite umane apocalittiche e io temo che la stessa cosa si verificherebbe oggi. Per questo sono arrivato alla logica conclusione che la sola soluzione è un movimento paneuropeo. Suona utopico, lo so, ma questa idea mi si è cementata nella mente in agosto, quando ho cominciato a girare per l’Europa e mi sono reso conto che dovunque andassi c’era una gran sete di un’idea come questa.
Venivano ad ascoltarmi a migliaia, e non perché volessero manifestare solidarietà alla Grecia o a me, bensì perché l’esperienza del negoziato tra la Grecia e la troika aveva toccato un nervo scoperto. E le persone che vengono ad ascoltarmi e a discutere con me e con i miei colleghi sono preoccupate per sé stesse, per i loro paesi, per l’Europa. Così ho fatto due più due e sono arrivato alla conclusione che la sola cosa per cui vale la pena battersi è questa aggregazione a livello europeo attorno ad un’idea molto semplice, ma radicale: democraticizzare l’Europa.
Qualcuno potrebbe dire: «Ma l’Europa è già democratica». No, non lo è. Non è per nulla democratica. Perciò democraticizzarla è in realtà un’idea molto radicale che va contro ogni fibra del corpo e dell’anima dei burocrati di Bruxelles.
Dicci un po’ di più chi speri di far aderire a questa piattaforma.
Questo è un motivo, secondo me, per cui questo dovrebbe essere un movimento, e non un partito né una élite. Non si tratta di presentare una lista, un elenco di politici. Se è un movimento deve essere un movimento di base. Sono appena tornato da Coimbra in Portogallo. Prima ero a Barcellona con il nuovo magnifico sindaco, Ada Colau, che collabora con me su questo. In Francia c’è un mucchio di persone, una vasta gamma di persone interessate: accademici, attivisti, sindacalisti, politici. Arnaud Montebourg è dei nostri. Abbiamo persone della Linke, del partito socialdemocratico tedesco e persone molto in gamba del Kreisky Forum in Austria. Come ho detto prima, non sto cercando di ingolosirvi am ci vuole tempo per lanciare un movimento come questo.
Alcune di queste persone sarebbero a favore di uscire dalla UE? Includeresti nel tuo movimento persone che sono arrivate a tale conclusione?
Beh, io non credo in un partito di tipo leninista, in cui si decidono in anticipo i parametri e poi si accolgono le persone affinché si mettano al servizio della causa. Non penso che chi voglia uscire dalla UE sarebbe attratto da questo movimento, perché questo sarà un movimento per la democratizzazione dell’Europa. Ci saranno senz’altro molti dibattito sulla moneta, su cosa fare quando si verificherà una ripetizione dell’esperienza che ho avuto io, quando mi sono sentito dire che o accettavo l’ordine stabilito delle cose oppure potevo anche andarmene. Non ci sarà alcuna posizione precostituita sulla moneta, salvo che non ci sarà neppure alcuna posizione precostituita a favore dell’uscita dall’eurozona.
La mia idea personale, e continuo a ripeterlo, è che è politicamente e finanziariamente un errore porsi lo scioglimento dell’eurozona come obiettivo strategico. Allo stesso tempo, non dovremmo essere spaventati dalla minaccia di essere cacciati dall’eurozona, ma questa è un’altra storia.
Quindi Jeremy Corbyn sarebbe il benvenuto nel vostro movimento?
Assolutamente. Ma è importante fissare questo punto: questa non sarà una coalizione di partiti. Vuole essere una coalizione di cittadini, che a loro volta possono appartenere a qualsiasi partito vogliano. Non saranno ammessi partiti. Non è un partito né un’alleanza di partiti. L’idea è quella di creare un movimento di base in tutta Europa di cittadini europei interessati a democratizzare l’Europa. Ovviamente saranno coinvolti in altre campagne nelle loro comunità locali, nei loro Stati membri, nelle loro nazioni. Forse avremo persone di partiti diversi dello stesso paese. Questo mi piacerebbe. Perché se l’idea è quella di non replicare le politiche nazionali, perché no? Ma personalmente conto molto sui seguaci di Corbyn.
State stilando un manifesto?
Sì, ci stiamo lavorando.
Chi lo sta scrivendo?
Non voglio fare nomi e non lo firmeremo quando lo lanceremo. Sarà un testo fluttuante.
Puoi darci una data stimata di pubblicazione?
Sarà prima di Natale.
Nel Regno Unito si avvicina il referendum sull’UE. Su openDemocracy abbiamo discusso di come esse sarà probabilmente presentato sui media nei seguenti termini:«Ci piacciono gli affari più di quanto odiamo gli immigrati o odiamo gli immigrati più di quanto amiamo gli affari?». 
È un modo interessante di presentare la cosa.
Ma non è questo il dibattito che dovremmo avere sull’Europa. Si tratta di una scelta incredibile, epocale che il Regno Unito ha di fronte. Come ti piacerebbe vedere inquadrato il dibattito sul nostro rapporto con l’Europa e che cosa dovremmo pretendere dall’Europa?
«Vogliamo un’Europa democratica o no?». Torniamo a quanto detto in precedenza. L’Europa e l’Unione europea non sono la stessa cosa. Il problema con la UE è che ha tutta le connotazioni di uno Stato sovranazionale, senza esserlo. Non è solo che formalmente non è uno Stato. Il suo DNA, la sua storia, il modo in cui è stata assemblata sono completamente diversi da quelli di uno Stato. Uno Stato emerge come risultato della necessità politica di un meccanismo, un meccanismo d’azione collettivo, che armonizzi i conflitti di classe e di gruppo.
Prendiamo gli Stati Uniti o il Regno Unito. Lo Stato inglese è emerso per la necessità di trovare un equilibrio tra i diversi signori e baroni. La Magna Carta fu il risultato di uno scontro tra l’autorità centrale del re e quella dei baroni, e successivamente si ebbe lo scontro tra l’aristocrazia terriera e i mercanti. Poi tra gli industriali e la classe operaia. Gruppi diversi che si scontrano ferocemente per il controllo. E lo Stato emerge attraverso lo scontro di queste placche tettoniche, e lo Stato diventa un insieme di istituzioni che gode più o meno della legittimità di tutta la popolazione, al fine di generare un equilibrio di potere.
È così che si forma lo Stato. Per definizione lo Stato, anche se non è democratico, come per esempio la Cina, è un processo politico che ha lo scopo di stabilizzare i conflitti sociali. Ora l’Europa, Bruxelles, non è emersa così. L’Europa è emersa come un cartello dell’industria pesante. È cominciata con il carbone e con l’acciaio, e poi ha cooptato i coltivatori, poi i banchieri, poi l’industria automobilistica, l’industria dei servizi, e via di seguito. È stato un tentativo di creare prezzi stabili e di limitare la concorrenza, l’opposto della ragion d’essere dello Stato britannico e ovviamente dello Stato statunitense. L’idea era quella di stabilizzare i prezzi e porre fine allo scontro tra l’industria tedesca, francese, italiana, olandese, e così via.
C’è una differenza enorme tra uno Stato che emerge come mezzo politico per stabilizzare i conflitti di classe e il personale amministrativo di un cartello. L’industria britannica non ha mai fatto parte del cartello ed è per questo che la Gran Bretagna è entrata così tardi nel Mercato europeo comune. La Gran Bretagna vi è entrata per sostituire un impero perduto avendo accesso a questi mercati. Ma i mercati erano già monopolizzati dal cartello dell’Europa centrale. Dunque il motivo per cui l’establishment britannico non è mai stato innamorato dell’Unione europea è perché non ha mai fatto parte del processo di creazione del cartello che ha fatto ascendere Bruxelles. Non è una cattiva cosa. Ma sto cercando di spiegare perché in Germania, Olanda, Belgio, ecc. l’establishment, le élite, non mettono mai in discussione l’Unione europea, mentre in Gran Bretagna sì.
Dunque si è venuta a creare una situazione in cui la UE, in Gran Bretagna, non piace a nessuno. Non piace alla classe lavoratrice, perché la UE non ha in mente gli interessi della classe lavoratrice britannica. Ma al tempo stesso neanche l’industria britannica – a parte la City e qualche settore specifico – ha particolari simpatie per essa. L’unione monetaria ha dovuto sviluppare una moneta comune perché se stai costruendo un cartello devi avere dei prezzi stabili. Per i primi vent’anni la stabilità dei prezzi è stata garantita da Bretton Woods. Dopo il 1971 l’Europa ha cercato di creare il proprio gold standard alla Bretton Woods, che è divenuto l’Euro. Dunque la Gran Bretagna è in una situazione precaria nei confronti della UE. La Gran Bretagna continua a dire al mondo che vuole il mercato unico ma non Bruxelles. Ma questo non è possibile.
Solitamente viene citato il caso della Norvegia o della Svizzera.
Beh, la Norvegia e la Svizzera si sono già rimesse a Bruxelles. Volete questo?
Solitamente il dibattito non arriva fin lì.
Beh, dovrebbe arrivarci. Il punto è che, anche se uscite dall’Unione, gli standard del lavoro, dell’ambiente alla fine saranno dettati a livello europeo.
Perché le nostre economie sono semplicemente troppo globalizzate e troppo interconnesse?
Pensa al TPP, al TTIP, ecc. Non si tratta più di dazi e di quote; si tratta di standard. Si tratta di standard industriali, ambientali, del lavoro, e di brevetti. Chi le scrive queste regole? Non sarà un negoziato tra la Gran Bretagna e l’UE a determinare queste regole. Sarà a Bruxelles che queste regole saranno scritte. E la Gran Bretagna, fuori dall’UE, non avrà altra scelta che prenderle o lasciarle.
La mia opinione è che i problemi della UE nascono dal fatto che è nata come “zona a democrazia limitata”. O meglio, inesistente. La Gran Bretagna no. Dal mio punto di vista i progressisti britannici non hanno altra scelta che rimanere nella UE e unirsi a noi nel tentare di democratizzarla. Se non riusciamo da democratizzare la UE non farà davvero molta differenza se staremo dentro o fuori. A meno che, naturalmente, la Gran Bretagna non trovi un modo per sostituire il 60 per cento del suo commercio, che è con la UE. Non sarà in grado di farlo.
Owen Jones sta sollecitando quella che chiama la Lexit, un’uscita della sinistra dall’Europa. Che cosa diresti a chi è d’accordo con tutto quello che dici ma vuole comunque lasciare l’UE?
Beh, mi trovo spesso ad affrontare questo genere di discorsi nel mio paese con i miei ex compagni di governo che hanno lasciato il partito per formare Unità Popolare. Loro dicono la stessa cosa: non possiamo avere un vero dialogo con l’Eurogruppo, perciò l’uscita è l’unica soluzione. La mia tesi è che non ci sono soluzioni facili. Mi piacerebbe che potessimo creare un universo alternativo in cui fosse possibile avere un certo grado di autonomia, di autarchia, che consenta di ripulire le stalle di Augia. Ma non è possibile. L’idea di tornare ad una vita agricola pastorale è assurda. Oggi persino le mietitrebbie sono governate da componenti elettronici che i nostri paesi non producono.
Non ci si può ritirare dal mercato globalizzato e specialmente dal mercato europeizzato. Dunque se si esce senza avere alcuna capacità di partecipare alla democratizzazione di tale mercato allora si sarebbe sempre soggetti ad un mercato amministrato da tecnocrati e si avrà un grado di libertà ancora minore di quello che si ha ora.
Penso sia importante non cadere nella trappola nazionalista di pensare che si possa ritornare nel bozzolo dello Stato-nazione. Ciò non significa che dovremmo assecondare Bruxelles. Credo, al contrario, nel rimanere per rovesciare le regole, anche ricorrendo, se necessario, a strumenti di disobbedienza civile. Questa per me deve essere la strategia della sinistra, non la Lexit.
Quanto potere hanno i governi nazionali sulla politica economica? Quando eri ministro delle Finanze, ti sentivi davvero al comando del destino del tuo paese?
No. Beh, dipende. La Gran Bretagna è molto diversa dalla Grecia. Non solo perché è un’economia più vasta e considerevole, ma anche perché non è nell’eurozona. Se non si è nell’eurozona si ha un certo grado di libertà, non ci sono dubbi al riguardo. Vorrei che non fossimo mai entrati nell’eurozona, ma non è la stessa cosa di dire che dovremmo uscirne. C’è una grande differenza. Nell’eurozona il proprio grado di libertà è minimo, se non addirittura inesistente. La sola cosa che abbiamo potuto fare è stata rinegoziare l’intero pacchetto, per ottenere un certo grado di libertà. Dunque una delle cose che questo movimento proporrà sono dei modi in cui possiamo combinare una maggior europeizzazione di particolari settori – come la gestione del debito, il settore bancario, gli investimenti aggregati, la lotta alla povertà, ecc. – con un maggiore decentramento, per dare maggiore autonomia alle regioni, alle città e ovviamente alle nazioni in termini di politiche sociali ed economiche. Io credo che questo sia possibile. Sembra una contraddizione, ma credo che sia possibile guadagnare maggiore libertà ed autonomia se europeizziamo alcuni dei grandi problemi.
Questa opposizione economica di sinistra all’ordoliberalismo dovrebbe andare oltre Keynes?
Oltre il Keynes dei manuali, senz’altro. Ma questa sarebbe una nuova varietà di keynesismo adattata alla situazione dell’Europa. Da anni ormai con i miei amici James Galbraith e Stuart Holland, ex parlamentare laburista, siamo andati assemblando quella che chiamiamo una “modesta proposta”, appropriandoci del titolo di Jonathan Swift, che contiene una serie di proposte keynesiane da applicare al livello dell’eurozona e non degli Stati nazionali. In essa spieghiamo come le istituzioni esistenti – la banca centrale, il Meccanismo europeo di stabilità, la Banca europea per gli investimenti – possono essere utilizzate al fine di creare un nuovo patto europeo. Un nuovo patto verde per l’Europa guidato dagli investimenti, con la banca per gli investimenti che svolga il ruolo che sotto il New Deal di Roosevelt svolse il Tesoro federale, emettendo buoni del tesoro al fine di raccogliere il risparmio in eccesso per canalizzarlo verso gli investimenti, anziché mediante le politiche di quantitative easing. Ci sono modi che si possono immaginare per intervenire immediatamente oggi per stabilizzare il capitalismo europeo al fine di creare le condizioni per la sua democratizzazione. La scelta è tra questo e la barbarie.
O lo status quo?
Lo status quo non è più una scelta, perché si sta sbriciolando. Non credo che lo status quo sia sostenibile, e penso che tutti lo sappiano. Prendiamo l’Italia. L’Italia è un paese che ha un avanzo di partite correnti. La maggior del suo debito pubblico è interno, il che è un bene. Ma la situazione non è sostenibile. Ha registrato un avanzo primario superiore al 2 per cento negli ultimi anni eppure il suo rapporto debito-PIL sta aumentando esponenzialmente. Quando un paese sofisticato come l’Italia, che produce di tutto, da Armani alla Ferrari alla Fiat, registra due avanzi – un avanzo commerciale e un avanzo nei conti pubblici – e nonostante questo è sommerso dai debiti, sappiamo che c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Renzi l’altro giorno ha detto qualcosa di importante. Ha detto che se Bruxelles respingerà il suo bilancio, lui glielo ri-sottoporrà tale e quale. È una sfida aperta al patto fiscale dell’Unione europea. Perché lo sta facendo? È un rivoluzionario? No. Perché sa che se segue le regole il suo paese finirà in un buco nero. Lo stesso vale per la Francia o per la Spagna, che presentano anch’esse situazioni insostenibili. E questo Schäuble lo sa. Sa che l’eurozona non è in grado di subire e di assorbire un’altra onda d’urto nell’economia internazionale, il tipo di onda d’urto che si sta formando ora. Dunque non penso che lo status quo sia un’opzione.
Puoi spiegare in linguaggio per profani che cosa implicava il tuo piano B?
In realtà lo chiamavo piano X – giusto per essere precisi – ed era composto da due parti. Uno riguardava come gestire la situazione se fossimo stati cacciati dall’euro. Perché c’erano queste minacce e anche se io non le ritenevo credibili e pensavo che non l’avrebbero mai fatto, anche se volevano farlo, ciononostante come ministro delle Finanze avevo l’obbligo di redigere dei piani d’emergenza nel caso fossero riusciti a farci uscire. E questo è – era – principalmente il piano X. Più pensavo a come avrebbe potuto avere luogo questa ridenominazione della moneta, più la cosa mi sembrava complicata. La mia squadra lavorava giorno e notte per cercare di immaginare tutti gli scenari possibili. E naturalmente la difficoltà in questo era che doveva essere una squadra piccola, altrimenti sarebbe stata una profezia che si autoavverava. Dunque questo era il piano X.
Ma c’era un altro piano: non un piano d’emergenza bensì un insieme di reazioni che stavo preparando da parecchio tempo, da almeno un anno, per restare nell’euro dopo che ci avessero chiuso le banche. Sapevo che ci avrebbero minacciato con le banche e lo sapevo da molto prima che fossimo eletti. E i tre passi che raccomandavo come ritorsione erano, innanzitutto, quello di annunciare la creazione di un sistema parallelo di pagamenti, un sistema elettronico denominato in euro; in secondo luogo un taglio o una dilazione di trent’anni del rimborso dei titoli del debito greco detenuti dalla BCE, per un totale di 27 miliardi. Sarebbe stata una grossa arma da usare, perché l’intero programma QE della BCE avrebbe avuto grosse difficoltà se lo avessimo fatto. E, terzo, cambiare la legge che regola il funzionamento della banca centrale greca. Tutto questo per restare nell’euro con le banche chiuse, dopo una mossa aggressiva della BCE.
Era questo il piano che ritenevo cruciale, non il piano X. Il piano X era nel caso fossimo stati cacciati dall’euro. Non pensavo che ciò fosse credibile ma dovevo averlo. Ma il piano per rispondere alla chiusura delle banche, quella era, per me, la vera partita. Era un piano per restare nell’euro e riuscire a sopravvivere al suo interno, con le banche chiuse, mentre i negoziati producevano l’esito appropriato. Ho sempre saputo che a meno che non avessimo dimostrato la capacità di non arrenderci dopo che le banche fossero state chiuse per una settimana o due, saremmo stati ridotti sul lastrico.
E tu pensi che un paese piccolo, alla bancarotta, senza alleati nell’eurozona avrebbe potuto fare tutto ciò?
Sì, assolutamente. Guarda a come Mario Draghi tiene insieme l’euro. Senza QE non ci sarebbe euro. Il QE è in un equilibrio molto precario da un punto di vista legale perché Draghi affronta molte contestazioni da parte della Bundesbank e la contestazione maggiore è che i suoi acquisti di attivi potrebbero subire un taglio nominale e la risposta consueta della banca centrale è che essa non tollererà alcun taglio nominale. Se io annuncio un taglio in reazione ad una mossa molto aggressiva di chiusura delle nostre banche, allora l’interno programma di quantitative easing ne sarebbe compromesso. Dunque avevamo un’arma, ma mi è stato impedito di usarla.
Qui a openDemocracy siamo ossessionati dal TTIP. Un ministro di SYRIZA con cui ho parlato recentemente ha detto di ritenere che un governo di SYRIZA non dovrebbe approvare il TTIP. Ci sono mai state discussioni sul TTIP mentre tu eri al governo?  
No, mai. Sono sicuro che questo sia un sentimento genuino. Ma allora, di nuovo, lascia che ti ricordi, Alex, che abbiamo continuato a dire per anni e durante i mesi del negoziato, ogni giorno, che non avremmo mai firmato un terzo memorandum.
Dunque pensi che la pressione sarebbe troppo forte se si arrivasse a quel punto?
Ti ho già risposto.
La mia ultima domanda riguarda i media. Come gestirai il rapporto del tuo movimento con essi. Potrebbero non essere carini nei tuoi confronti… 
Oh, non preoccuparti. Sono allenato…
Dunque hai appreso delle lezioni…
La singola lezione più importante che ho appreso è che non contano. Perché se il messaggio è forte, considerata la necessità di un movimento che esprima questa brama di un minimo di controllo democratico sulle fonti del potere in Europa, io credo che sarà l’onda della gente, come è stato in Grecia, a trasportarci. Abbiamo conquistato il 61,3 per cento dei voti contro ogni singola televisione, stazione radiofonica e giornale del paese. Tutti facevano campagna per il sì. Abbiamo potuto farlo in Grecia, potremmo farlo in Europa. In ultima analisi, è come ci ha insegnato Omero: non è tanto il viaggio che conta, quanto la destinazione. È una lotta giusta e dobbiamo combatterla.
* Fone : EUNews
** Articolo pubblico su openDemocracy il 25 ottobre 2015. Traduzione di Thomas Fazi. 

32 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma la lotta è all'euro o al neoliberismo?
Non è che se si esce dall'euro si sconfigge automaticamente il neoliberismo.
La chiave come giustamente AVETE SCRITTO PURE VOI è nell'indipendenza della banca centrale e quindi (mi auguro...) nel rispristino dell'incompatibilità per una banca fra i due ruoli, commerciale e di investimento.
In sostanza lo scopo finale è quello che molti economisti propongono ossia LA MONETA COME BENE COMUNE (né pubblico né privato).

Ora se andate dalla gente a dire che volete uscire dall'euro raccogliete meno dello zero per cento alle elezioni; se invece parlate di beni comuni (che sono diversi dai beni privati e anche da quelli pubblici) quindi anche di "moneta come bene comune" parlate di un tema che sarà il centro della discussione politica del futuro AL QUALE I GIOVANI SONO MOLTO SENSIBILI, un tema che si rifà alla solidarietà che è un altro concetto che comincia a farsi potentemente strada nell'immaginario collettivo e spingete automaticamente verso l'obbligo da parte della BC di rendere conto alla comunità, quindi la costringete ad abbandonare le pretese di indipendenza DIMOSTRANDO CHE INDIPENDENZA DAL GOVERNO DEMOCRATICAMENTE ELETTO DAL POPOLO SIGNIFICA AUTOMATICAMENTE DIPENDENZA DA QUALCUN ALTRO CHE NON E' IL POPOLO.

Moneta come bene comune equivale a dire che l'euro dei finanz-banchieri va superato ma lo si dice in un modo accettabile per l'elettorato.

I temi del futuro CHE PER POCO TEMPO ANCORA SONO LIBERI PER APPROPRIARSENE sono:

1) Beni comuni

2) Transizione ecologica verso forme di energia rinnovabile alternative ai combustibili fossili (questo lo dicono già in tanti ma fra pochissimo tempo diventerà un must per qualsiasi movimento quindi va immediatamento adottato)

3) moneta come bene comune, reintegro del Glass Steagall Act, accountability democratica della BC, quindi de-finanziariazzazione dell'economia di mercato E QUINDI SUPERAMENTO DEL NEOLIBERISMO

4) UGUAGLIANZA come parola d'ordine

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Peccato che la moneta non è nè bene pubblico, nè bene privato e neanche bene comune, per il semplicissimo fatto che non costituisce nessuna fattispecie di bene.
La moneta è semplicemente un mezzo di politica economica, e finchè questo semplicissimo concetto non risulterà chiaro alla grande maggioranza della gente, non se ne uscirà mai (purtroppo non risulta chiaro neanche a quella parte di popolazione che potrebbe aspirare a diventare classe dirigente).

Anonimo ha detto...

Varoufakis è un caso umano, psichiatrico e in definitiva pietoso.

Questo sarebbe il tecnico?

Aveva ragione Barnard, ne aveva da vendere...

Riccardo.

Anonimo ha detto...

Peccato che l'Unione Europea dei banchieri sia precisamente il tentativo di privatizzare la moneta intesa come liquidità e credito.
Peccato che l'iperinflazione tedesca del primo dopoguerra fosse appunto il risultato della privatizzazione della moneta (voluta "chissà perché" da chi aveva vinto il conflitto).
Peccato che la gente non legga un po' di più.

Ippolito Grimaldi ha detto...

Però l' idea della moneta come bene comune, come l' acqua, può essere uno espediente comunicativo efficace negli ambienti della sinistra, non trascurerel il suggerimento dell' anonimo, mi piace.

Alberto ha detto...

Il fatto è che come dice un intervento Varoufakis è un caso umano, ma purtroppo rischiano di esserlo in molti, da chi dice che il denaro è solo un mezzo vagando così ancora nei giardini dell'ancient regime, a chi è favorevole all'euro, ma vorrebbe solo l'autonomia delle banche centrali, dimostrando di avere le idee chiarissime. Come poi possa realizzarsi questa autonomia delle BC con una sola moneta è un po' come il mistero della trinità: l'euro procede dalla Bce verso la banca d'Italia con lo Sirito santo che si incarica di far credere a queste baggianate. Le quali alla fine e in soldoni non esprimono posizioni plausibili, ma solo il terrore subliminare di vedersi sfilare dal portafoglio la moneta forte. L'economia domestica sostituisce così la macroeconomia con la felicità dei pescecani.

Anonimo ha detto...

Capece Minutolo

Ma allora non hai capito niente.
Mi spiace, avevio fatto l'intervento da vecchio saggio ma hai rimediato la figuraccia. Peccato
Ora ti spiego: non ho mai detto che mi va bene l'euro ma che voglio solo la "non indipendenza" della banca centrale.
Fai uno sforzino da bravo, rileggi e vedrai che hai preso la toppa. Sì?

P.S.: Ti cito, amico caro: "...ma solo il terrore subliminare di vedersi sfilare dal portafoglio la moneta forte. L'economia domestica sostituisce così la macroeconomia con la felicità dei pescecani.". Che carino che sei...hai imparato la frasetta a memoria...solo che non c'entra niente con quello che ho scritto io, capisci?
E' per questo che siamo classe subalterna.

Anonimo ha detto...

Ippolito

Meno male che qualcuno capisce...ma lo sapevo già...

Anonimo ha detto...

Leggete qui, mica è un comunista...

http://www.ft.com/cms/s/0/4dcb5c58-818d-11e5-8095-ed1a37d1e096.html#axzz3qzkb8E8l

Se lo dice il FT significa che una parte dei dominanti ha capito che siamo vicino a una bolla paurosa e che se non si rivolgono all'economia reale favorendo in tutti i modi il credito alle imprese e soprattutto la domanda, quindi aumentando i salari, non distruggendo il welafre e facendo investimenti strutturali in deficit, si va tutti a gambe all'aria INCLUSI LOR SIGNORI.

E voi adesso vorreste centrare una proposta politica sull'abbandono dell'euro?
Questo è il momento per battere sul vero punctum dolens che è l'economia di mercato iper finanziarizzata.
Se sensibilizzi la gente su questo, e adesso è il momento buono che prima o poi passerà, metti in scacco l'intero impianto neo liberista sfruttando la guerra interna alla ruling class.
Se si vince su questo l'euro casca come una foglia secca.
Fateci caso: sia la sinistra fassiniana che la destra di Salvini e Berlusconi criticano l'euro MA NON DICONO NULLA SULL'INDIPENDENZA DELLA BANCA CENTRALE NE' SULLA SEPARAZIONE FRA BANCHE COMMERCIALI E DI INVESTIMENTO.

Lì abbiamo uno spazio, non sull'euro (che comunque va criticato ma cadrà da solo non per una uscita unilaterale che non si sa nemmeno chi mai potrebbe decidere qui in italia).

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Caro Ippolito,
è giusto ed opportuno usare in politica espressioni adatte ad essere positivamente percepite, ma non fino al punto di dire cose prive di senso.
Io ho accuratamente evitato di entrare nel merito del concetto di bene comune che non mi piace neanche un po', per evitare discussioni che ci portassero lontano dall'argomento del post, ma se davvero questo bene comune è un concetto adattabile all'acqua come ad una banconota, allora se ne perde del tutto la significatività.
Lasciamo perdere adesso la discussione di cosa possa significare dire che l'acqua è un bene comune e le implicazioni connesse a questa scelta concettuale, e concentriamoci sulla moneta.
Ricordo ai distratti che le banconote possono essere stampate da qualunque soggetto che abbia sovranità. Tradizionalmente la facoltà di stampare liberamente banconote e sovranità sono sempre stati strettamente correlati. Uno stato sovrano stampa denaro quando serve ad esempio a stimolare l'attività economica, e lo distrugge in presenza di gravi indizi di inflazione eccessiva. In questo senso, la sua stessa esistenza e il suo stesso ammontare come scelta deliberata e del tutto discrezionale della sovranità escludono sin dall'inizio che la moneta possa essere considerata un bene, così come lo esclude il suo valore del tutto convenzionale. Una mela è un bene perchè si può mangiare indipendentemente dalle scelte politiche, e che sia un bene lo sa anche qualsiasi bambino che ne sa apprezzare il gusto, una banconota ha un valore solo in quanto noi glielo conferiamo, sta a fondamento del concetto di credito ed ha permesso l'esaltazione dello scambio economico, ma a un bambino che non è ancora un soggetto economico, quel piccolo pezzo di carta non suscita nulla.
L'esistenza della moneta è quindi confinata all'universo economico, e quindi a me pare che nulla possa essere più distante della moneta da questo seppure controverso concetto di bene comune.

Nel frattempo, se a te non dispiace, mi intrattengo ancora nei giardini dell'ancient regime, che non capisco cosa voglia significare, ma è un'espressione che suona bene e quindi perchè non usarla?

Anonimo ha detto...

@Vincenzo Cucinotta

Purtroppo per te "ancient regime" è mezzo inglese e mezzo italiano; sfortunatamente è francese invece e si scrive "ancien régime"

Insomma, capisco il vostro imbarazzo, sono qui per aiutarvi, però leggete per cortesia.

"Bene comune" non vuol dire che un qualcosa abbia in sé delle caratteristiche ontologiche che lo rendono bene comune, capisci?
Si tratta di una "decisione" politica se questo qualcosa debba essere bene pubblico, privato o comune, ci siamo?
L'istruzione prima dell' "ancien régime" (scusa..."ancient regime") era privata, dopo la Rivoluzione è diventata un bene comune.
Ma l'esempio più significativo te lo dico dopo.

Il credito e la liquidità NON DEVONO ESSERE LASCIATI AI PRIVATI il che significa CHE NON DEVONO ESSERE EROGATI IN BASE ALLE CONVENIENZE DI CHI SE NE E' ARROGATO IL DIRITTO DI EMETTERLI.
Se le banche emettono credito e quindi in sostanza battono moneta lo fanno solo nelle misura in cui gli conviene ED E' SBAGLIATO perché il criterio dell'emissione di credito e liquidità deve essere IL BENE DELLA COMUNITA'. Capisci? No, eh? Il problema però è che tu non te ne accorgi ma se ne stanno accorgendo i dominanti che vedono la situazione sfuggirgli sempre più di mano.
Non deve essere nemmeno una funzione "dello Stato" perché lo Stato decide in base agli interessi della propria burocrazia e della classe dominante di cui è espressione. Si tratta di un bene comune che DIVENTA BENE COMUNE PER UNA DECISIONE DELLA COMUNITA'.
E' una modalità di gestione caro Vincenzo, non una essenza metafisica del bene o merce o cosa che si prende in considerazione.
Allora se impedisci a una banca commerciale di investire in derivati o di speculare sui mercati finanziari di vario tipo la obblighi per fare profitto a emettere credito, LE IMPEDISCI DI RITIRARE TUTTA LA LIQUIDITA' DAL MERCATO NEI MOMENTI DI CRISI QUANDO CHI PUO' CHIUDE TUTTE LE POSIZIONI REALIZZANDO QUELLO CHE PUO' REALIZZARE creando una penuria di moneta e per di più rifiutandosi di fare credito alle imprese perché sa che senza denaro in giro non conviene investire nell'economia reale. Il credito alle imprese in momenti di crisi E' OBBLIGATORIO, se non lo fanno i privati lo fa qualcun altro, per esempio una BC gestita in maniera comunitaria e democratica (quindi non indipendente).SEGUE

Anonimo ha detto...

CONTINUA

@Vincenzo Cucinotta

L'idea di bene comune è la più rivoluzionaria che esista soprattutto in un momento storico come questo in cui una élite sta cercando di cancellare l'idea stessa di "pubblico" e "comune" (segando il ramo su cui è seduta, come essa stessa sta comprendendo sempre più chiaramente); infatti la UE non usa la dicitura "bene pubblico" ma "servizio di interesse generale" il che sottintende che non essendo dichiarato pubblico questo "bene di interesse generale" può essere gestito da un privato con le conseguenze che sappiamo.
Noi invece dobbiamo proporre una gestione comunitaria dei "beni" che sono essenziali per la collettività; come scriveva Karl Polanyi esistono tre beni che non possono diventare "merce": la terra (oggi diremmo "l'ambiente"), il lavoro e LA MONETA.

Dubitate che sia un'idea forte questa dei beni comuni in particolare la "moneta bene comune"? Che sia astratta?
E cosa c'è di più astratto di una "parola" o della religione, giusto?
Prima di Cristo la "Parola del Signore" era proprietà privata di una casta di sacerdoti all'interno di un gruppo più o meno etnico; è arrivato Cristo e ha detto essenzialmente (il pilastro portante di tutto il Nuovo Testamento è solo questo): "La Parola del Signore è un bene comune"...(e guarda caso ha preso a calci i cambiavalute)...gli Zeloti e i Romani pensavano che fossero solo chiacchiere...però che qualche risultato lo ha ottenuto direi, non vi pare?...
Duemila anni fa si manteneva il potere con "La Parola" oggi con "La Moneta". Il primo che capisce cosa succede a dire che deve essere un bene comune vince!

Ippolito Grimaldi ha detto...

@Vincenzo
Capisco le tue osservazioni, infatti io parlavo di espediente comunicativo utile ad evocare la sinistra benecomunista,
Se dal punto di vista puramente tecnico può essere un errore, da un punto di vista politico il controllo della politica ( sic ) monetaria può essere considerato un interesse comune per un popolo, un bene comune inalienabile per uno stato.
Mi sembra ovvio che non intendiamo per bene materiale o merce la banconota, (però allora mi dovete anche spiegare perché esista un mercato delle valute per esempio).
Dopo il mio intervento sono stato letteralmente assalito da amici più ferrati di me in economia, sono stato accusato di voler favorire il signoraggio (perché poi?), ed altre osservazioni che, per miei evidenti limiti, non ho neanche capito.
Ora io posso anche essere d' accordo con tutti questi tecnicismi, però rendetevi conto che non possiamo mica aspettare che il 51% diventino economisti.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Caro anonimo dei beni comuni,
ti ringrazio innanzitutto di avermi segnalato l'errore di battitura che ha sfortunatamente causato l'aggiunta di una t finale di cui non si sentiva il bisogno, e a cui dedichi circa metà dei tuoi commenti. Nelle tue intenzioni, questa insistenza aveva evidentemente lo scopo di sputtanarmi, quasi fosse un argomento a favore della tua tesi e contro la mia. Magari, una persona meno infantile e meno presa di sè (e magari meno vigliacchetta visto che non osi neanche darti un nick) si sarebbe resa conto dell'errore, e l'avrebbe ignorato come io faccio abitualmente, concentrandosi sull'oggetto del contendere, visto che mi sembrava che questi commenti fossero funzionali a un dialogo costruttivo e non a un inutile sfottò del proprio interlocutore, che mi pare quanto di più distante ci sia da un atteggiamento dialogico.

Ma entriamo nel merito dell'argomento.

Direi che tu fai una confusione evidente, che si palesa quando tu dici che dopo la rivoluzione, la moneta è diventata bene comune, quando invece ciò che successe fu che la gestione divenne pubblica (ma non comune in ogni caso, se vogliamo attenerci al significato di comune che riportano i dizionari).
Sulla gestione della moneta, mi pare che siamo d'accordo, da anni sostengo che il passaggio decisivo che ha imposto una svolta neoliberista non è stata l'istituzione dell'euro, ma molto prima, nel 1981, quando l'allora ministro del tesoro Andreatta decise il divorzio dalla Banca d'Italia. Naturalmente, so bene che successivamente e fino ai nostri giorni, altre decisioni hanno rafforzato la svolta del 1981 e non sottovaluto l'importanza dell'adesione all'euro, ma tutto cominciò da lì, se dobbiamno stabilire un punto di inizio della sciagurata svolta, è al 1981 che dobbiamo fissarla.
Se come io dico, la moneta è un mezzo di politica economica, la sua gestione non può che essere del soggetto a cui è affidata l'esecuzione delle scelte politiche deliberate dal parlamento, e cioè il governo della Repubblica.
Io rafforzavo, e non capisco come tu non l'abbia inteso, la critica all'attuale politica monetaria, perchè, affermando che la moneta non è una merce, tagliavo nella maniera più radicale ogni possibilità di attuare politiche neoliberiste che si basano appunto sul monetarismo, cioè sull'esaltazione del valore della moneta. La difesa del valore della moneta col correlato terrore del sorgere di tendenze inflattive, costituisce la base del neoliberismo, come dovresti sapere.
Ora, secondo te, cosa costituisce un'opposizione più radicale, dire che dobbiamo finirla con una gestione privatistica della moneta e tornare ad una pubblica (non comune che non capisco cosa possa significare in quest'ambito, magari fai qualche esempio per chiarirlo a qualcuno tonto come me), o dire che il valore intrinseco della moneta è nullo per le cose che ho già scritto, cioè di natura totalmente convenzionale, e quindi ne possiamo fare ciò che vogliamo, difenderne il valore per spegnere un'inflazione esagerata, o svalutarlo per stimolare l'attività economica? (continua)

Vincenzo Cucinotta ha detto...

(continua dal precedente)
In effetti, ci sono solo due opzioni, o la moneta è un valore in sè, e ciò corrisponde a una politica economica che difende i patrimoni finanziari, cioè il neoliberismo oggi trionfante, o si dice che la moneta è un falso problema perchè ha una funzione puramente strumentale, e il vero obiettivo dell'economia è la piena occupazione e tutto ciò che una nazione democratica può decidere di porre ad obiettivo delle sue politiche, che possono perfino prevedere di annullare il valore del denaro se ciò permette di raggiungere il vero obiettivo della politica economica.

La tua posizione invece, sembra andare in direzione opposta a questo punto, è quindi diventa oggettivamente autocontraddittoria, perchè, esaltando il concetto di moneta come bene, finisce con il sostenere indirettamente le teorie liberiste. Per farti un esempio, come potrebbe un governo che la pensa come te stimolare l'inflazione per fare ripartire l'economia, se ciò comporta una perdita di valore di qualcosa che consideriamo un bene allo stesso modo dell'acqua?

Rileggerò Polanyi perchè anch'io credo alle cose che egli afferma, ma direi a meno di evidenze contrarie che egli associa la moneta alla terra ed al lavoro umano solo nel non considerarle merci, ma non nell'associarle come beni. Tieni conto che bene e merce non sono concetti opposti, anzi sono molto simili. Ad esempio, una mela è contemporaneamente un bene ed una merce, come tutti i beni, tutti merce tranne appunto il lavoro umano e la terra. Invece, io ho inteso che Polanyi affermasse che la moneta non è nè merce nè bene, e forse sta qui la fonte della confusione.
Tuttavia, se mi fossi sbagliato nell'interpretare le parole di Polanyi, continuerò comunque ad essere convinto che la moneta non è nè bene nè merce.
Infine, mi fa comunque piacere che anche tu stimi Polanyi perchè vedo che il suo pensiero è ignoto alla quasi totalità delle persone, e il suo pensiero potrebbe costituire il modo di superare la società di mercato (come la chiama appunto Polanyi) senza dovere aderire a teorie marxiste più o meno rivisitate.
Almeno questa discussione sarà servita a diffondere il nome di questo prezioso pensatore.

Ippolito Grimaldi ha detto...

Il concetto di bene comune non c' entra nulla col valore commerciale e ciò vale per la valuta così come per l' acqua. Il bene comune non è un bene rifugio, la moneta così come l' acqua sono strumenti di sviluppo se non scorrono, se mancano, le civiltà muoiono.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Sì, Ippolito, capisco il tuo punto di vista, ma trovo comunque stravagante questo accomunare l'acqua e la moneta.
Se sposti la tua attenzione dal tema del rapporto tra flussi e sviluppo, vedi che questa comunanza non regge.
Considera che l'acqua è limitata, almeno quella dolce e ancora più quella potabile, mentre la moneta, come creazione dell'uomo, è potenzialmente illimitata. Non solo se oggi per qualsiasi motivo distruggo moneta, domani la posso ristampare, ma addirittura se abbandono un tipo di valuta, domani posso istituirne una nuova di zecca.
In che senso una roba che posso riprodurre a volontà o con cui ricominciare daccapo, potrebbe costituire un bene? Forse la confusione sta nello scambiare la moneta con la scelta di usare la moneta (questoa sì una decisione saggia, e quindi un bene), mentre la stessa cosa non si potrebbe mai dire per l'acqua. L'acqua è un bene di per sè, e non v'è discrezionalità alcuna nell'uomo nell'usarla.
E poi, scusami, ma l'acqua non serve solo allo sviluppo (che poi dovremmo focalizzare qualche volta il problema dello sviluppo), ma alla vita, mentre la moneta è tutta interna alla civiltà, tant'è che ancora oggi esistono comìunità umane che non la usano e nelle stesse nostre civiltà i bambini non sanno che farsene della moneta. Mi chiedo quale possa essere il vantaggio di mescolare cose tra loro così eterogenee.

Ippolito Grimaldi ha detto...

Credo che stiamo discutendo di due cose diverse Vincenzo, perché abbiamo due concezioni diverse, è la semantica che ci frega facendoci credere di parlare della stessa cosa, usiamo gli stessi termini, ma significati simbolici diversi, va bene cosi.
Provo a stuzzicarti un po: e se ti dicessi che la moneta è un catalizzatore?

Anonimo ha detto...

@Ippolito

Come era prevedibile hai colto perfettamente il senso di quello che sto cercando di dire e sei stato l'unico.
Vedi quanto è difficile...ma è colpa solo nostra, inutile biasimare i "dominanti" per la nostra scarsa elasticità.
Fra qualche tempo i temi a cui ho accennato diventeranno il cuore della discussione ma allora saranno lor signori ad appropriarsene. Perché noi se non andiamo a ruota di qualcuno o non ci mettiamo sotto la sua riverita cappella non siamo contenti.
Per questo dico sempre che ci vuole qualcuno di carisma, perché la natura del "subalterno dentro" esige che per avere un'idea ci voglia un riferimento più in alto.
Che palle.

Anonimo ha detto...

@Vincenzo

Non hai capito un cavolo di niente. Ma deve essere colpa mia. Chiedi a Ippolito che ti spiegherà sicuramente meglio di me.

Anonimo ha detto...

Catalizzatore...mmmh..no, troppo raffinato...
Vincenzo non vuole che la moneta venga chiamata "bene"...allora la chiamiamo "male"...mal "comune" mezzo gaudio...ecco così forse il concetto passa...

Ippolito Grimaldi ha detto...

Sono stato l' unico a capire perché siamo solo in tre, ha ragione anche Vincenzo solo che usa categorie diverse, per lui una pera è una opera e una mela è una mela, che si possano mangiare entrambe è un concetto già troppo complesso.
Volontà di potenza, nella tragedia dei residui positivisti di oggi diventano ridicolmente sinonimi: volontà è potenza, per cui nulla impedirebbe di stampare moneta senza limiti.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Però Ippolito, perchè rinchiuderti nella tua semantica, perchè interrompere il dialogo? Di cosa hai paura?
Tu rifletti un attimo su quello che scrissi e a cui non mi hai risposto.
La moneta non è un bene, è usare la moneta che è un bene.
Invece l'acqua è un bene, come del resto è un bene usarla.
Chiara adesso la differenza?
Vogliamo riprendere da qui?
Io ancora credo nell'argomentazione, altri si rifugiano su "non hai capito niente", "abbiamo semantiche differenti, sono quelle che ci fregano".

Dopodichè, è per me chiarissimo che a questo punto della discussione non ammetterete mai che vi ho convinto, e del resto non è questo ciò che mi interessa.
Se sono riuscito ad insinuare anche un vago dubbio, per me è un risultato sufficiente.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Ippolito, vedo che non hai capito, perchè se hai capito non dovresti permetterti di mettermi in bocca parole che non ho detto, si chiama scorrettezza.
1. Non ho parlato di pere, ed è scorretto traslare il confronto che faccio tra acqua e moneta a pera e mela che sono entrami frutti commestibili, a meno di volere apparire idiota.
2. Qui davvero non hai capito. Dire che la moneta è uno strumento di politica economica non significa dire che se ne può fare ciò che si vuole: dove l'avrei detto?
Che un martello sia uno strumento, penso che possiamo convenire. Tuttavia, converrai con me che bisogna essere molto cauti nell'usarlo, perchè si possono causare enormi danni, fino con un colpo ben assestato uccidere una persona: chiaro adesso? Possibile che ti debba ancora spiegare cosa si intenda con strumento?

Anonimo ha detto...

@Vincenzo

Leggi qui, sono solo 36 pagine ma si spiega perché la moneta CHE NON E' UN BENE è però un bene comune.
Se ti va di leggere, eh?
Però dopo se non leggi evita cortesemente le approssimazioni alla buona, ok?

Grazie

http://www.assbb.it/contenuti/news/files/Libro%2050.pdf

Anonimo ha detto...

Mo' quella della volontà e della potenza da stampare senza limiti non l'ho capita benissimo...ci penso su dopo cena...

Comunque per essere chiaro, non sto raccontando delle mie elucubrazioni personali ma mi riferisco in particolare ai lavori di

Elinor Ostrom

a questo libro del capo economista dell'Agenzia per lo Sviluppo francese

http://www.amazon.it/Illusion-financi%C3%A8re-%C3%A9dition-augment%C3%A9e-LAtelier-ebook/dp/B00J4K135I

a quest'altro di Marvin Brown

http://www.amazon.it/Civilizing-Economy-Brown-ebook/dp/B004EHZVNG/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1447168086&sr=1-1&keywords=civilizing+the+economy

Per fare alla svelta leggi se vuoi questo paper di 36 paginette

http://www.assbb.it/contenuti/news/files/Libro%2050.pdf

Ippolito Grimaldi ha detto...

Non qui Vincenzo, qui siamo ospiti ed anche off topic.
Ho visto che hai un blog ben tenuto, se hai voglia possiamo "battagliare" a casa tua.
Mi sembra un buon tema per chiarirsi le idee, speriamo anche nel contributo di altri.

Alberto ha detto...

Scusate se m'intrometto, ma questa questione mi stuzzica da tempo, così provo anch'io a dire la mia.

Dire che cos'è la moneta può sembrare un esercizio accademico sterile, ed effettivamente questo accade facilmente, ma può anche essere molto utile per chiarirsi le idee sulle politiche economiche e sociali che tramite regolamentazione utilizzano la gestione della moneta come leva politica, per l'appunto.

Secondo me il primo mito da sfatare è che la moneta sia una merce. Non lo è, e non lo è neppure il denaro, come invece sostenevano (sostengono) gli austriaci di Von Mises.
La prova? Bretton Woods! L'ultimo Gold Standard, inteso come l'ultimo dei moicani, è partito nel '44 ed è stato dichiarato morto nel '71, dopo lunga e penosa malattia.
Questa concezione si rifaceva all'uso dell'oro come moneta di scambio, equiparando così la moneta ad una merce e tutta l'economia di scambio al baratto. Non è così, e la storia con quel fallimento premeditato quanto clamoroso sta lì a dimostrarlo. Anche se il Gold Standard è già annacquato dalla pratica della riserva frazionaria portata all'estremo, e nel caso in questione anche dalla funzione di cambio (semi)fisso tra valute a livello di governi (Gold Standard Exchange). La sbandierata convertibilità del dollaro, che lo equiparava all'oro, era comunque riservata ai governi, tramite BC, e vietata ai singoli cittadini, americani in primis già prima della guerra. Chiudo coi cenni storici per tornare alla "metafisica" della moneta, che per me è semplicemente il patto fondante di un ordine sociale, quello che regolamentando l'economia diventa politica, possibilmente sociale (nel bene) e non antisociale, o classista (nel male, così come ora).

Dichiararla "bene comune" (la moneta) può essere nebuloso, perchè è la sua gestione il vero bene comune, non il concetto di moneta in se, che ormai è lo stesso in tutte le società ad economia avanzata. Quello che fa la differenza tra euro, dollaro, yuan, ecc. non è la concezione della moneta in se, una concezione ormai universalmente condivisa nella sua semplicità d'uso, ma la sua gestione, cioè la regolamentazione obbligata per i gestori fisici, le banche (finanza) ed i governi (fiscalità). Entrambe le cose coinvolgono ogni singolo cittadino, dalla nascita alla morte, ed in tal senso si tratta di "bene" o comunque oggetto comune, di pubblica utilità, in modo logico e naturale. L'andar contro-natura (intesa come legittimo interesse di tutti e di ciascuno) è quello che permette il formarsi di divergenze, tensioni, eccessi e storture, tipiche della degenerazione finanziaria esplosa così violentemente negli ultimi decenni, e sfociata nell'ingiustizia sociale e nella morte della democrazia. Capito questo fondamento, si può ragionare sulle ricette per una buona economia.

Ippolito Grimaldi ha detto...

Certo, hai perfettamente inquadrato, il vero bene comune è la sovranità monetaria.
Nessuna entità concreta o astratta è ontologicamente un bene comune lo diventa ( di interesse comune ) quando la sua gestione e difesa è essenziale al benessere se non addirittura alla sopravvivenza di una comunità (che può essere anche l' umanità intera, pensiamo allo strato di ozono dell' atmosfera per esempio).Il bene comune primario che il neoliberismo ha aggredito per primo è stato proprio la sovranità monetaria, ha tolto alla moneta il suo valore di bene comune per farlo diventare un bene privato, è l' essenza del capitalismo finanziario, la moneta viene espropriata agli stati ed ai popoli cui può solo venir concessa in prestito e restituita a discrezione del creditore, che è il vero possessore della moneta.
Avevo già premesso che definire la moneta un bene comune è un espediente comunicativo, populista se volete.
P.s. A proposito di moneta come merce, se la moneta non è anche una merce mi spiegate perché esiste il mercato dei cambi?

Anonimo ha detto...

E a questo punto sarebbe interessante un post della Redazione nel quale poi allargare la discussione fra i lettori

Alberto ha detto...

" ... se la moneta non è anche una merce mi spiegate perché esiste il mercato dei cambi?"

Provo ad azzardare una risposta.
Il "mercato dei cambi" non dovrebbe neppure esistere, certamente non nella forma attuale, che altro non è che l'ennesimo tavolo di gioco del casinò finanziario globale.
Sul forex si scambiano quantità di valuta che sono N volte quella necessaria alle transazioni commerciali tra i diversi Paesi. Dovrebbe invece esistere un'agenzia unica, non politica (e qui sta il problema), che indica il potenziale tasso di cambio intervalutario, del quale i governi dovrebbero tener conto nel fissare mensilmente il "prezzo" della loro valuta rispetto alle altre, con regole e paletti anti-abuso politico (e qui sorge l'altro problema di come farle rispettare).

Il tasso di cambio, come ripeteva sempre il compianto Nando Ioppolo, non dev'essere troppo "alto" o troppo "basso", dev'essere "giusto", che significa coerente con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti con l'estero. Questo è il dato fondamentale per l'interazione economica tra realtà socio-economiche diverse tra loro, che deve esistere ma nel rispetto reciproco. Se in un Paese preferiscono mangiar banane contemplando le onde del mare, e in un altro preferiscono concentrarsi sulle tecnologie avanzate e l'efficienza produttiva, nulla vieta il commercio tra questi due Paesi, se i rispettivi beni di scambio vengono prezzati secondo le normali regole di mercato libero (altra utopia di difficile realizzazione, senza regole e paletti anti-speculazione).

In tal senso un futuro euro, radicalmente rivoluzionato nella sua gestione, potrebbe benissimo esistere come moneta di solo import-export intra ed extra comunitario, cioè come moneta complementare (minoritaria) rispetto alle monete locali di ogni singolo Paese membro.

Anonimo ha detto...

Nando Ioppolo in effetti è stato una scoperta.
Consiglio ai lettori avveduti di guardarsi i suoi video su youtube soprattutto considerando in che data sono stati girati.

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